Sbatti il mostro in prima pagina

La recensione di Sbatti il mostro in prima pagina, di Marco Bellocchio, a cura di Elisa Baldini.

Pellicola su commissione che Marco Bellocchio accetta di dirigere “al volo” perché Sergio Donati, autore del copione originario, si ritira improvvisamente dal progetto, Sbatti il mostro in prima pagina è un’opera non del tutto amata dal suo regista, che si è rimproverato negli anni di aver peccato di presunzione pensando di poter far diventare completamente suo il film di un altro.

“Certamente ci sono dei frammenti riusciti in questo film. Io però non riesco a valutare i frammenti. Nel complesso questo film fu un gesto di onnipotenza, quindi un po’ autodistruttivo.” (Da Aldo Tassone, Parla il cinema italiano, Il formichiere, Milano, 1980).  In realtà, se è vero che non è l’opera più coesa della sua filmografia, in questo film riscritto in fretta e furia con l’aiuto di Goffredo Fofi introducendo ex novo in una trama prettamente noir il contesto politico e il ruolo manipolatorio della stampa a fini politici, i frammenti della poetica di Bellocchio sono ben saldi e riconoscibili.

Rivedendolo dopo tanti anni, aldilà dei temi forti già citati, colpisce l’attenzione che Bellocchio appunta sull’identità femminile (che approfondirà in seguito). Primo tra tutti il personaggio della professoressa sedotta ed abbandonata (aggiunta di Bellocchio rispetto al trattamento iniziale), interpretato con efficacia da Laura Betti, che il redattore capo Bizanti, un Gian Maria Volonté dalla erre moscia ed il piglio composto di un burattino consapevole, disintegra in pochi minuti facendo leva sulle sue debolezze e improvvisando una falsa dichiarazione dell’ex amante che la definisce una “svasata in menopausa”.

La menzogna sulla giovane vittima, una ragazza che vive liberamente la propria sessualità, di cui diventa atto politico anche preservare l’illibatezza. E la scena, magistralmente glaciale, in cui Bizanti, mostrato all’interno dell’impeccabile santino borghese del salotto familiare, di fronte alla moglie che esorta il figlioletto ad ascoltare le parole del padre in televisione, elogiandone la telegenia e l’acume nel vano tentativo di ricevere uno stralcio della sua benevolenza, le dice tre volte “cretina”, perché nonostante viva al fianco di un uomo sì tanto illuminato, non ha ancora capito niente di come va il mondo. “Io in questa casa mi sento solo. E trovo più soddisfazione a parlare con i muri, che con te.” Il volto della moglie rimane in un attonito silenzio. La macchina da presa si allarga a mostrare il quadretto familiare di spalle di fronte alla televisione. Chissà se con una moglie meno cretina dei suoi lettori il servo della lotta di classe al contrario Bizanti si sarebbe sentito davvero meno solo, o più minacciato.


di Elisa Baldini
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