Padre Pio

La recensione di Padre Pio, di Abel Ferrara, a cura di Marco Lombardi.

Chi sono i santi? Persone che si sono limitate a vivere la dimensione spirituale (e miracolistica) della fede, oppure (piuttosto) esseri che hanno cercato di declinarla in termini di carne e di sangue, seguendo l’esempio di Cristo?

È questa la lettura che Abel Ferrara – in piena coerenza con tutto il suo cinema – dà di Padre Pio, quasi fosse un Cattivo tenente che risponde ai sensi di colpa (per essersi sottratto agli orrori della prima guerra mondiale) non più offrendo il proprio corpo sull’altare di un (quasi onanistico) martirio, bensì chiedendo a Dio di riversare su di sé tutto il male del mondo, per liberarlo dalla schiavitù del dolore.

Padre Pio, quindi, viene trasformato in un Santo della laicità che chiede a Dio di essere più socialista dei socialisti in rivolta, come se quella del corpo fosse l’unica forma di sacrificio possibile. Di inusuale, rispetto al consueto cinema di Ferrara, c’è un convinto rigore formale, quasi il regista avesse paura di mancare di rispetto al Santo di Pietralcina muovendo troppo la macchina da presa, oppure chiedendo agli attori delle sporcature interpretative, e invece (addirittura) colorando di rosso alcune sequenze che riescono a rendere eroticamente umano il suo martirio.


di Marco Lombardi
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