La trama fenicia
La recensione di La trama fenicia, di Wes Anderson, a cura di Roberto Baldassarre.
Da qualche anno, o per meglio dire da qualche film, Wes Anderson è ormai entrato nel novero degli autori amati oppure odiati, senza mezze misure. È quella folta compagine che annovera, tra i molti, Andrzej Zulawki, Lars von Trier, Ari Aster o il nostrano Paolo Sorrentino. La stimmate di Anderson è quella di realizzare ogni nuovo film sempre con il medesimo stile. Una raffinata cifra stilistica divenuta manierista, e, per molti, ormai stucchevole. Ma quella leziosa forma è parte integrante della poetica narrativa e visiva di Wes Anderson.
Ad esempio, nessuno si è mai lamentato delle reiterate vignette di Quino o dei Peanuts di Charles M. Schulz. Le pellicole di Anderson – e i personaggi che le popolano – sono anch’esse delle strisce singolari, e possono essere sviluppate soltanto attraverso quella mise en abyme simmetrica e quell’ironia surreale e pungente. La trama fenicia (The Phoenician Scheme, 2025) è l’ultimo colorato e mordace arazzo intessuto dal regista texano, nel quale ritornano in maniera funzionale la nota simmetria delle inquadrature, la fotografia splendente e fantasiosa, i dialoghi mordenti e i personaggi bizzarri. Un ulteriore celia narrativa, un divertissement autoriale o, come reputano i detrattori, un divertimento compiaciuto. Ma anche in questo caso, è più corretto definirlo un auto-pastiche, ossia Anderson che rifà Anderson.
La trama fenicia è un’elegante commedia, sapientemente cinefila, che irride il capitalismo americano degli anni ’30 ma con una ferina strizzatina d’occhio alla politica americana di quest’ultimo decennio. Il magnate Zsa Zsa Korda (Benicio Del Toro), con un nome che è una crasi cinephile tra l’appariscente attrice Gábor e il letterario e avventuroso regista Zoltan Korda, rievoca ironicamente la spietatezza speculativa (anche nell’ambito della possessione di opere artistiche) del Charles Foster Kane di Quarto potere (Citizen Kane, 1941) di Orson Welles. Ed è ugualmente un rimando al resistente industriale Howard Hughes, sopravvissuto realmente al mortale incidente dell’aereo che stava pilotando. Il rimando a Quarto potere si palesa anche con il personaggio interpretato da Tom Hanks, chiamato Leland come il miglior amico di Kane. Oltre a questo marcato richiamo cinematografico, ci sono poi anche disseminate citazioni rielaborate di Narciso nero (Black Narcissus, 1947) di Powell e Pressburger, e Lawrence d’Arabia (Lawrence of Arabia, 1962) di David Lean.
Tutti i riferimenti, che sicuramente possono essere colti soltanto da una ristretta élite, arricchiscono il colorato itinerario geografico e lucrativo di Korda. Un percorso, però, che non è né di conoscenza e né di redenzione per il protagonista, ma un tragitto narrativo buffo per lo spettatore, che può sollazzarsi con le diverse stoccate a diversi stereotipi culturali e nazionali. Rispetto al precedente Asteroid City (2023), La trama fenicia ha sicuramente il pregio di avere un andamento più slanciato, meno ridondante, che riporta alla memoria il rocambolesco Grand Budapest Hotel (2014).

di Roberto Baldassarre