La banda Baader Meinhof

baader_meinhof-1

baader_meinhof-1Due ore e mezza di narrazione tesa e asciutta, un montaggio folgorante, i migliori attori tedeschi e la capacità di mettere in campo soprattutto i fatti: questi i meriti della Banda Baader Meinhof. Si tratta certamente di un film ambizioso, che riassume la complessa storia della Raf, il gruppo terroristico tedesco responsabile negli anni Settanta di attentati e omicidi e rievoca lo sfondo politico e storico da cui nacque quell’organizzazione. Il regista Uli Edel (di cui ricordiamo Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino e Ultima fermata Brooklyn non vuole però svelare verità nascoste o fare definitivamente il punto su un periodo tragico e cruciale. Il suo scopo è innanzitutto è quello di raccontare e ricordare che questo è stato. La banda Baader Meinhof (tratto dall’omonimo libro del giornalista Stefan Aust, che è anche tra i personaggi del film) è costruito come un film d’azione ma non pecca di superficialità, ha l’ovvia necessità di condensare episodi e sorvolare su dettagli ma riesce comunque a illuminare brevemente psicologie ed esistenze, facendoci toccare con mano la discesa all’inferno di di Ulrike Meinhof (Martina Gedeck), tormentata giornalista “radical chic” che sceglie la clandestinità e di Gudrun Ensslin (Johanna Wokalek), militante mai sfiorata dal dubbio. Entrambe sono madri che hanno abbandonato i propri figli per la lotta armata, ma sono destinate a non capirsi. Andreas Baader (Moritz Bleibtreu) è rappresentato in modo più esteriore, come una specie di pazzoide. Il film, veloce e adrenalinico specialmente nella prima parte, cambia tono nella seconda, quando il difficile rapporto fra i terroristi detenuti nel carcere di Stammheim sembra evocare le atmosfere dell’”Inferno” di Sartre. Alla fine muoiono i capi storici dell’organizzazione, suicidi (il film propone questa tesi e non quella dell’”assassinio di stato”) nelle loro celle e muore con un colpo alla nuca Martin Schleyer, capo degli industriali tedeschi, rapito dalla seconda generazione della Raf. Uli Edel è bravo a raccontare la tensione di quegli anni, la violenza della polizia (durissima la scena iniziale della carica contro i manifestanti) e quella dei terroristi. Non c’è pietà per nessuno. E, anche se non si tratta di un capolavoro, viene da rimpiangere che un’opera così in Italia (nonostante i vari film sul terrorismo) non sia mai stato fatta.


di Anna Parodi
Condividi

di Anna Parodi
Condividi