Il grande sogno

placido-il_grande_sogno

placido-il_grande_sognoTra le quattro pellicole italiane in concorso alla 66ª Mostra del Cinema di Venezia, Il Grande Sogno di Michele Placido racconta le illusioni perdute di quell’irripetibile stagione di contestazioni che il ’68 rappresentò, a partire dall’esperienza dello stesso Placido che, in quegli anni, arrivava a Roma da soldato semplice della Celere per pagarsi gli studi all’Accademia di Arti Drammatiche.
Roma, 1968: Nicola, poliziotto infiltrato, si ritrova a vivere le occupazioni universitarie portate avanti dal movimento di contestazione studentesca; lì conosce e s’innamora di Laura, ragazza di buona famiglia che crede nella possibilità di un mondo più giusto e democratico. Tra i due, però, c’è anche Libero, studente e leader della protesta, che sogna la rivoluzione. Sullo sfondo di queste vicende, tra amori e ribellioni, si compirà il percorso di maturazione esistenziale dei tre giovani.
Il Placido regista è autentico, appassionato, viscerale. Ci racconta il suo ’68 mettendoci dentro la sua gioventù, i suoi trascorsi di ragazzo proletario pugliese, proveniente da un sud arretrato, dove fare il poliziotto significava potersi permettere una vita diversa da quella di bracciante. E’ vero, Il Grande Sogno è prima di tutto una storia privata, un romanzo di formazione che tratteggia la conquista individuale di una consapevolezza nuova. Con questo film, però, Placido tenta, anche, di rievocare, senza nostalgia, un periodo storico fondamentale per il progresso civile della società, quel ’68 che in Italia, pur non avendo avuto lo stesso impatto del maggio francese, produsse la speranza di una visione alternativa che parlava di coscienza di classe, di liberazione sessuale, di protesta contro le istituzioni. Di certo, il filtro dell’esperienza personale del regista incide su ciò che vediamo, a costo, a volte, di qualche approssimazione non proprio storica, ma, a nostro avviso, Placido guarda (con le dovute distanze) più ai sognatori di Bertolucci che al cinema politico di un Elio Petri! Con uno sguardo ancora fervido verso l’utopia della politica, l’autore di Romanzo Criminale ci consegna, senza eccessive frenesie di rigore, l’affresco autobiografico di un’epoca; e lo fa attraverso uno stile di regia dal respiro popolare che intreccia, sorretto dalla fotografia vintage di Arnaldo Catinari, vita vissuta e memoria storica, finzione cinematografica e immagini di repertorio. Del grande sogno della generazione di Placido, oltre al ricordo per coloro che lo vissero, rimane il monito, più appassionato che retorico, alle giovani generazioni sulla forza del cambiamento che può nascere da un’idea.
Bravi gli attori principali, e in particolare Trinca e Scamarcio, l’una premiata a Venezia col Premio Mastroianni come migliore emergente, l’altro figura intensa e drammatica di una giovinezza lontana.


di Amanda Romano
Condividi

di Amanda Romano
Condividi