La recensione di Il caso Belle Steiner, di Bennoit Jacquot, a cura di Roberto Baldassarre
La recensione di Il caso Belle Steiner, di Bennoit Jacquot, a cura di Roberto Baldassarre.

Superbo giallista, George Simenon è stato anche un fine e pungente narratore della piccola borghesia di provincia della Francia. Il delitto, l’indagine e la – probabile – risoluzione erano tasselli per una sua personale, incisiva e beffarda investigazione delle figure umane e dell’ambiente che li circonda. La morte di Belle fu pubblicato la prima volta nel 1951, e ha avuto già due trasposizioni: Chi ha ucciso Bella Sherman? (La mort de Belle, 1961) di Eduard Molinaro, e il televisivo Jusqu’à l’enfer (2009) di Denis Malleval. A queste due pellicole si aggiunge questo terzo adattamento, Il caso Belle Steiner (Belle, 2024) di Bennoît Jacquot, che ironicamente omaggia Simenon intestandogli la scuola nel quale il protagonista Pierre Constant (Guillaume Canet) insegna.
Anche in questo adattamento il romanzo di Simenon ha subito delle necessarie modifiche, tra cui un aggiornamento all’oggi (smartphone, Pc e social) e il cambio della materia d’insegnamento: Pierre non è più docente di storia, ma di matematica. Il caso Belle Steiner, tralasciando le gravi accuse giudiziarie che coinvolgono attualmente Jacquot, è conferma di come il cinema francese, spesso con l’ausilio di Simenon, sappia tracciare una razionale quanto spietata investigazione dell’essere umano. Come recentemente ha dimostrato anche L’uomo nel bosco (Miséricorde, 2024) di Alain Guiraudie. Ambedue sono dei degni epigoni dei gialli descrittivi di Claude Chabrol, che tramite di essi scoperchiava il “Vaso di Pandora” della provincia francese e della piccola borghesia. Il misterioso e violento omicidio della giovane Belle è il passe-partout per dare l’avvio narrativo all’indagine su Pierre, che è il principale sospettato.
Un uomo dal comportamento – quasi – imperturbabile, che si professa innocente. Sebbene diversi suoi atteggiamenti siano ambigui. E il delitto di Belle mette anche in luce come il rapporto con la moglie Cléa (Charlotte Gainsbourg) non sia così tanto solido. Una relazione che ormai si regge su convenzioni borghesi, e la – necessaria – scappatella di Cléa lo dimostra. Tramite una narrazione nitida, Il caso Belle Steiner è un giallo che instilla fino alla fine il dubbio se Pierre sia l’assassino. Merito anche di alcune soluzioni registiche che lasciano ai bordi dell’inquadratura lo svelamento (ad esempio il barista incerto quando vede Pierre nel club), o la sovrapposizione tra realtà e desiderio (inteso come immaginazione). Oltre alla bugia di Cléa dopo il tradimento, a confermare che è sufficiente una menzogna per costruire una verità. E il finale non è da intendere come un “Happy End”, ma un ultimo beffardo indizio su come l’importante sia non gettare discredito nella comunità, e che una stimata coppia non si sgretoli.
Alla compattezza di questo levigato giallo contribuiscono anche i due protagonisti, con Guillaume Canet che cesella un uomo ambiguamente impenetrabile, mentre Charlotte Gainsbourg è una donna che vorrebbe agire (il tradimento esprime praticamente una fuga), ma che resta nel proprio ruolo di moglie.

di Roberto Baldassarre