La recensione di Diciannove, di Giovanni Tortorici, a cura di Gianlorenzo Franzì

La recensione di Diciannove, di Giovanni Tortorici, a cura di Gianlorenzo Franzì.

Superbia, spocchia adolescenziale e arroganza sono sia uno stato persistente dell’adolescenza più inquieta, sia i difetti di tante opere prime, che nella fregola di mostrare e dimostrare non vedono la misura e inciampano. Diciannove è un’opera prima e pure se il suo regista l’adolescenza l’ha passata da un po’ ormai sembra ricordarla bene, e intride il suo film di tutto ciò che passa per la testa a Leonardo, protagonista universitario diciannovenne (Manfredi Marini). Allora era inevitabile che il film stesso assumesse un’aria strafottente: e lo fa infarcendo le riprese di soluzioni stilistiche sempre diverse, quasi a fare l’ora e mezza di durata un florilegio di innovazioni – che però poi vere innovazioni fino in fondo non lo sono mai.

Diciannove ha il pregio di riuscire, in un modo o nell’altro, non solo a descrivere l’inquietudine del suo personaggio principale ma anche di restituirla, quell’emozione, quella sensazione di disagio, di perenne tendenza al nomadismo emotivo e sessuale e sociale. Il problema sta quando Tortorici, aiuto alla regia di Luca Guadagnino -qui nella veste di produttore- nella serie We Are Who We Are, sposta spesso e volentieri il campo d’indagine esistenziale (sua e di Leonardo) nella sfera sessuale: perché inevitabilmente si avverte l’impronta di pensiero del regista di Challengers, e perché nello stesso tempo Tortorici non sembra avere -perché probabilmente non può, considerando l’età- dimestichezza con le necessarie profondità e tridimensionalità per trattare con franchezza  e verità la rappresentazione dei corpi.

Sembra poco e invece non lo è: perché Diciannove riesce davvero a descrivere fedelmente il disagio di una generazione, in maniera fresca e non edulcorata, ma proprio per questo il suo incartarsi in alcuni passaggi è più evidente e suona ancora più stonato. La sessualità di Leonardo fa capolino qua e là ma in maniera così prevedibilmente sfocata e sfilacciata nella sua indefinibilità da essere ampiamente, fastidiosamente prevedibile, e Diciannove diventa allora sfilacciato ma nel senso peggiore, con eccessi di stile aspri e poco spigliati, irrigiditi in una ricerca della deviazione a tutti i costi.


di Gianlorenzo Franzì
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