His Three Daughters

La recensione di His Three Daughters, di Azazel Jacobs, a cura di Francesco Di Pace.

Tre figlie, tre sorelle vissute lontano l’una dall’altra, si ritrovano al capezzale di un padre morente: la scelta di un titolo apertamente cecoviano la dice lunga sull’impianto volutamente teatrale del film, quasi esclusivamente girato in un’unità di luogo (la casa di famiglia nel Lower East Side di Manhattan) e poggiato sulle spalle di una scrittura (opera dello stesso regista) miracolosamente precisa, che mescola dramma e improvvisi spunti di commedia e adattata sapientemente sulla perfomance di tre splendide attrici.

Fa piacere imbattersi di tanto in tanto sulle piattaforme (in questo caso Netflix), in piccoli gioielli come questo His Three Daughters di Azazel Jacobs (figlio di uno dei santoni del cinema sperimentale americano Ken Jacobs), del quale erano stati distribuiti in Italia un paio di titoli, tra cui ricordo soprattutto Fuga a Parigi con Michelle Pfeiffer, anche questo un film piuttosto interessante su un rapporto conflittuale madre-figlio.

Katie e Christina raggiungono Rachel, che viveva già in quella casa, a far fronte a quella che si annuncia come una morte imminente del loro genitore Vincent: che non vedremo mai, coerentemente, fino agli ultimi venti minuti del film che non vi svelerò. Katie (Carrie Coon, la Gloria della terza stagione di Fargo e protagonista degli ultimi due Ghostbusters) è quella dura, sicura di sé, che vuole tenere tutto sotto controllo, è quella che soffre la maggiore conflittualità con la sorellastra Rachel, figlia della seconda moglie di Vincent ma adottata dallo stesso come una vera figlia. Rachel (la interpreta alla grande, in un ruolo piuttosto consono per lei, la Natasha Lyonne della serie Russian Dolls) fa di tutto per non farsi amare, è costantemente strafatta di erba e passa le giornate a scommettere compulsivamente su ogni evento sportivo. Cerca di porre un equilibrio fra le due Christina (la radiosa Elizabeth Olsen della saga Avengers), la svampita ed emotiva ma apparentemente più realizzata, che nasconde sotto lo yoga e la meditazione una inquietudine non risolta.

Alle prese con i giorni che passano durante una convivenza forzata e la presenza di ambigui organizzatori del trapasso del genitore, le tre sorelle stempereranno pian piano le tensioni attraverso i necessari momenti di perdono reciproco e una resa dei conti traumatica delle loro vite. Per arrivare a un finale nel quale, senza stare a rivelare tanto, Jacobs mette in scena un possibile ma forse irreale coup de théatre che farà da detonatore per una armonia ritrovata fra le tre donne.

His Three Daughters è un dramma familiare che restituisce in maniera credibile il dolore che ognuno di noi deve aver vissuto o vivrà nell’ambito dei propri rapporti familiari, riuscendo a non essere mai banale o, al contrario, enfaticamente caricato. Merito di Jacobs, che scrive e dirige le attrici in maniera sensibile, ritagliandosi nel finale anche un momento registico piuttosto azzardato ma che rompe per un attimo la “gabbia” che intrappola i nostri personaggi. Così, quello che era stato fino a quel momento il “non visto”, il fuori campo, irrompe in scena e rende anche noi spettatori partecipi di un risolutivo testamento spirituale.


di Francesco Di Pace
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