Fratello e sorella

La recensione di Fratello e sorella, di Arnaud Desplechin, a cura di Mariella Cruciani.

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“Volevo fare un film che si concentrasse unicamente su due personaggi, sui loro sentimenti, un film incandescente. L’odio è veramente una perdita di tempo, non serve a niente, è solo l’aspetto triste di un amore bruciante, fortissimo”. Durante il Festival Rendez-Vous a Roma, Arnaud Desplechin ha usato queste parole per presentare Fratello e sorella, storia dell’odio tenace e feroce tra Alice (Marion Cotillard) e Louis (Melvil Poupaud).

Entrambi sono sulla cinquantina: lei è una famosa attrice di teatro e lui un affermato scrittore. Non si vedono e non si parlano da vent’anni ma quando gli anziani genitori vengono ricoverati in ospedale, in seguito ad un grave incidente automobilistico, saranno costretti, loro malgrado, ad incontrarsi…

Dato il contesto, ci si aspetterebbe un dramma psicologico, capace di attirare l’attenzione e l’empatia dello spettatore, ma non è così. Invece che al centro di un racconto toccante ed emozionante, si finisce ben presto per sprofondare in una rappresentazione di stampo teatrale che non convince e non cattura. Tutto, nel film, è eccessivo e sopra le righe, a partire dalle interpretazioni dei protagonisti per arrivare ai dialoghi, sovrabbondanti e spesso inverosimili. Il vero problema, però, è a monte: nell’antipatia che suscitano fratello e sorella, entrambi egoisti, narcisi, pieni di sé.

“Una cosa che adoro del cinema è che i personaggi trasgrediscono, fanno cose che noi non oseremmo mai fare, ma al cinema ne abbiamo diritto, possiamo farlo anche noi!” Questa dichiarazione del regista potrebbe spiegare, forse, le tante esagerazioni del film ma il risultato non cambia: se l’obiettivo era indagare l’ambivalenza e l’irrazionalità dei legami familiari, Desplechin spreca un’occasione e si limita a confezionare un’opera impeccabile esteriormente, ricchissima di rimandi colti, ma senza un’anima.  


di Mariella Cruciani
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