Chaleh (La buca) | Film di chiusura – Fuori Concorso
Un anziano vedovo abita in una casa diroccata insieme alla seconda giovane moglie. Il paese nel quale viveva è stato colpito duramente dal terremoto. Per guadagnarsi da vivere l’uomo, un meccanico, si è inventato un sistema ingegnoso. Non lontano dall’abitazione ha infatti scavato una profonda buca nel manto stradale e attende che le auto vi finiscano dentro. La strada non è molto frequentata, ma i pochi viaggiatori cadono tutti vittima della trappola e devono ricorrere all’aiuto del vecchio. Un giorno un uomo politico decide di far riparare la buca…
Lungo una strada che sembra non portare da nessuna parte, vanno e vengono auto di passaggio. A bordo di volta in volta una famiglia, un politico e la sua scorta, un gruppo di suonatori, un postino, due cineasti: facce diverse di un Iran che guarda al futuro. Il vecchio osserva con un binocolo il momento dell’inevitabile incidente, poi si precipita a soccorrere i malcapitati. Li aiuta ma in fondo li disprezza, si rifiuta di condividerne il desiderio di spostarsi e meno che mai di conoscere qualcosa delle loro vite. Il suo orizzonte è tutto racchiuso in ciò che lo sguardo abbraccia mentre siede silenzioso fuori della casa diroccata. Poche parole anche con la seconda moglie, alla quale impedisce di uscire di casa. L’unica forma di interesse la esprime nei confronti del postino, spera infatti che un giorno gli consegni una lettera del figlio emigrato in Giappone. Ma il destino è in agguato, dopo la riparazione della buca nulla può più essere come prima. L’uomo vorrebbe rimanere ancorato al passato, deve invece fare i conti con il presente. Racconto metaforico per eccellenza, La buca parla del paese per allusioni efficaci secondo una delle linee felicemente praticate dal cinema iraniano. Ali Karim, che ha partecipato a workshop tenuti da Kiarostami, ha appreso la lezione del maestro, fino a riutilizzarne, superandole, alcune delle costanti suggestioni visive. Il suo racconto è così costruito attraverso inquadrature rigorose dove al centro sono sempre gli individui: orchestrando i loro casuali incontri il regista mette in scena uno scontro tra vecchio e nuovo dalle drammatiche conseguenze. Una delle nuove linee di tendenza del giovane cinema iraniano nel film di chiusura della 24. Settimana Internazionale della Critica.
Ali Karim, nato a Tehran nell’ottobre del 1977, si affaccia nel circuito iraniano del cinema d’arte nel 2000. Nell’estate 2006 partecipa al workshop di Abbas Kiarostami dove gira Yellow, blue, red e The elevator, due cortometraggi selezionati da diversi festival internazionali. Chaleh, du cui firma anche la sceneggiatura, è il suo primo lungometraggio.
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Recensione
“In questo periodo, in cui i film commerciali vanno per la maggiore, alcuni umili e giovani amici si sono dedicati ad un’esperienza in controtendenza alla potente logica del profitto, nella peggiore situazione economica, in Iran e in altre parti del mondo. Ho sempre pensato a come superare una crisi indesiderata e, forse, Chaleh non è del tutto scollegato dalla situazione in cui ci troviamo oggi: una storia sul vivere la vita dopo una crisi.”Con queste parole, il regista iraniano Ali Karim presenta il suo film “La buca”, dolente e sentito racconto metaforico sull’Iran contemporaneo.
Lungo una strada che sembra non portare da nessuna parte, in un territorio colpito recentemente da un sisma, passano, di tanto in tanto, diversi viaggiatori: una famiglia, due giovani, musicisti, due cineasti, un politico e la sua scorta. Tutti finiscono, con le loro auto, in una buca scavata nel manto stradale da un anziano vedovo, padrone assoluto di quello spazio desolato. Il vecchio, dalla barba bianca e dallo sguardo fiero, soccorre, poi, i malcapitati, unica sua fonte di guadagno. Attraverso il confronto tra il burbero meccanico e la varia umanità del film, Karim mette in scena lo scontro tra il vecchio e il nuovo: uno scontro dalle conseguenze tragico, sancito dal drammatico ritorno a casa del figlio, emigrato in Giappone, dell’anziano protagonista. Il regista costruisce il suo film con inquadrature rigorose, al centro delle quali sono sempre gli esseri umani: il risultato finale è un’opera suggestiva ed emblematica, dal forte impegno morale. “Chaleh” comunica per allusioni, secondo i moduli del nuovo cinema iraniano, ma sembra, contemporaneamente, superarli grazie ad una presa di posizione più netta, e disincantata, rispetto al cinema e alla realtà: “Cosa state riprendendo, la miseria della gente? E’ una brutta cosa da fare, veramente brutta!” – dice, significativamente, il vecchio ai due cineasti. Una lezione, di cinema e di vita, da un giovane regista esigente, attento all’estetica ma anche, e soprattutto, all’etica.
Mariella Cruciani
di Redazione