Videocracy (Videocrazia) | Evento Speciale – in collaborazione con le Giornate degli Autori

sic2009videocracy

sic2009videocracyLele Mora, Simona Ventura, Flavio Briatore, Fabrizio Corona, aspiranti veline e tronisti sono i protagonisti, a volte consapevoli altre no, di un affresco spietato che ritrae gli ultimi trent’anni della televisione (e della politica) italiana dall’avvento delle tv private a oggi.

Cos’è la “videocrazia”? Secondo Erik Gandini, italiano d’origine e svedese di adozione, che ha più volte affrontato nei suoi documentari aspetti chiave del mondo contemporaneo, come in “Surplus” e “Gitmo”, è il sistema di potere televisivo di cui l’Italia offre oggi l’esempio più consistente ed emblematico. “Videocracy” non è esattamente un film su Berlusconi ma un film sull’Italia berlusconiana di lunga durata: fisiologicamente, sociologicamente e forse persino antropologicamente berlusconiana. L’Italia in cui, come afferma Nanni Moretti ne “Il Caimano”, «Berlusconi ha già vinto». Un’Italia trentennale, ossessionata dall’esibizionismo sessuale e dalla totale assenza di freni morali – con ogni probabilità anche molto incapace di guardarsi allo specchio – che viene restituita dallo sguardo attento di uno “straniero” sui generis, la cui relativa italianità gli ha consentito una conoscenza sul campo del fenomeno analizzato. Ma il suo film non rincorre l’attualità o lo scandalo. Non insegue la notizia o il gossip. Sviluppa piuttosto una distanza critica singolare rispetto alle circostanze e ai personaggi rappresentati o ai materiali di repertorio selezionati e assemblati: distanza critica fatta di straniamento e profondo sdegno allo stesso tempo. E che nello spettatore italiano, convinto magari di aver già visto tutto ciò o di saperne anche di più, può sortire persino un prezioso effetto terapeutico.

Erik Gandini, nato a Bergamo nel 1967, si trasferisce in Svezia all’età di 18 anni dove vive tutt’ora. Il suo primo documentario, Raja Sarajevo, realizzato nel 1994, narra la storia di un gruppo di giovani amici nella Sarajevo assediata. Da allora ha realizzato documentari che hanno ottenuto numerosi riconoscimenti in ambito internazionale: Not Without Prijedor nel 1996, Amerisians nel 1998, Sacrificio – Who betrayed Che Guevara? nel 2001, in co-regia con Erik Saleh, Surplus – Terrorized into being Consumers nel 2003. Prima di Videocracy ha co-diretto sempre con Tarik Saleh Gitmo – The New Rules of War, presentato in anteprima all’IDFA di Amsterdam nelle sezioni “Joris Ivens” e Amnesty International Award. Gitmo ha vinto il primo premio al Seattle International Film Festival 2006 ed il gran premio della giuria al Miami Film Festival 2006.

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RECENSIONE

“Mi interessa la mia percezione, non la realtà dei fatti. Non mi identifico in Michael Moore, piuttosto con Antonioni: la dimensione del mio lavoro non è politica, ma emotiva”.
Questa dichiarazione di Erik Gandini, italiano d’origine e svedese di adozione, autore di Videocracy, costituisce un’ottima chiave di lettura per il suo bel film sull’Italia berlusconiana. Il giovane regista, già autore di documentari (“Surplus”, “Gitmo”) su aspetti importanti del mondo contemporaneo, con “Videocracy” non cerca lo scandalo né insegue il gossip, bensì ricostruisce la genealogia della “videocrazia”, il sistema politico-mediatico che, in tre decenni, ha trasformato il nostro paese, non più diviso tra destra e sinistra, ma tra chi è una celebrità televisiva e chi non lo è. Gandini non mostra niente di inedito o di sensazionale ma, grazie ad uno sguardo sensibile e lucido, nonché alla giusta distanza critica, fa vedere con occhio diverso fenomeni ai quali rischiamo, ormai, di essere assuefatti. Immagini di trasmissioni come “Colpo grosso” e “Drive in” scorrono, in apertura, a dimostrazione di come l’uso strumentale del corpo, la mera apparenza abbiano, con il tempo, finito per sostituirsi alla sostanza e alla profondità delle cose, dando vita ad una nazione in cui il passaggio da showgirl a Ministro per le Pari opportunità è un fatto naturale.
Il primato dell’immagine su qualsiasi discorso o ragionamento è illustrato, nel film, in maniera semplice e chiara, persino da Fabrizio Corona che, a proposito di se stesso, commenta: “La gente non ascolta quello che dico: guarda il personaggio. Se fossi stato basso e grasso, non sarei diventato così famoso”. Lele Mora lascia aperta la speranza a tutti e conclude: “Popolare diventa chiunque: basta apparire”. Attraverso Corona, Mora, aspiranti veline e tronisti, figure che dicono molto del sistema che le governa, Gandini restituisce l’affresco spietato di un paese in cui televisione e potere sono, davvero, la stessa cosa. Il flusso delle immagini televisive è specchio della personalità di Berlusconi, prima magnate della tv, poi Presidente del Consiglio: seni grossi, benessere, luci, colori eccessivi, opulenza, contribuiscono alla diffusione di una mentalità collettiva ossessionata dall’apparire e priva di qualsivoglia contenuto. Le parole di Mora su Berlusconi e Mussolini, il suo telefonino con la suoneria di “Faccetta nera” (“hai visto che carino?”) spaventano e allibiscono per la mancanza di consapevolezza. Videocracy ha il merito di far sentire allo spettatore, in maniera quasi palpabile, come il “divertirsi”, il “puro intrattenimento”, presentati sempre come innocui, siano, in realtà, assai pericolosi: la cultura della banalità e del disimpegno genera mostri più di quanto si possa, normalmente, temere.

Mariella Cruciani

INCONTRO CON ERIK GANDINI

di Mariella Cruciani

Quando hai cominciato a pensare ad un film sull’Italia, dato che vivi in Svezia?

C’è un mondo che mi fa paura: la tv ha un potere pazzesco, ha invaso l’immaginario del nostro paese. Questo mi interessava! Io sono italiano, sono cresciuto qua, ricordo l’inizio di quest’epoca. Se qualcuno ci avesse detto, allora, che certi programmi, o spogliarelli, avrebbero cambiato il paese, avremmo riso! La scelta di fare il film ha significato per me non essere uno spettatore passivo: il mio lavoro di documentarista mi spinge a questo…

Perché, secondo te, la democrazia si è trasformata in videocrazia?

In questo paese, divertirsi è una religione e la banalità è diventata uno strumento di potere. La banalità del male, qui, è diventata la malvagità del banale. In Italia sono mancate scelte collettive su come utilizzare il mezzo: il potere della tv è in pochissime mani.

Come hai lavorato sulla struttura di “Videocracy”?

In un documentario, non puoi decidere prima come andrà a finire! Io volevo capire la cultura della tv ed era importante trovare personaggi che fossero il prodotto di questa cultura. L’idea del film era raccontare questo mondo, che si racconta da solo, ma senza indignazione, bensì attraverso elementi cinematografici, come la musica. In altre parole, tirar fuori quello che sentivo attraverso il cinema..

Come è stato l’incontro con i personaggi: Corona, Mora, ecc..?

Sono persone abituatissime ad esporsi: sono i re dell’esposizione. Io sono molto curioso e il mezzo del documentario è utile per comprendere a fondo: forse, questa, per loro era la novità. Non sono abituati al documentario. Comunque, c’è stata grande disponibilità da parte loro e grande interesse mio.

Le immagini degli studi televisivi sono autorizzate o rubate?

Non è difficile andare negli studi tv e riprenderli. Molto materiale, poi, c’è stato dato con piacere da loro stessi, per esempio l’inno di “Forza Italia”.

Quali sono state le reazioni in Svezia?

E’ un progetto nato perché i miei amici, in Svezia, ridono dell’Italia ed io volevo farli smettere. Così è stato! Voi siete, forse, abituati: da noi, tutto ciò è surreale.

Il film vuole essere un monito anche per gli altri paesi?

L’Italia è, per me, l’esempio di una cultura della banalità che si propone come innocua e che, invece, non lo è affatto: è molta pericolosa!

“Videocracy” avrebbe potuto nascere con una produzione italiana?

Questo non lo so. A me piacerebbe lavorare qua, con questo tipo di progetti ma, forse, è stato bene che io abbia avuto la massima libertà nel farlo!

La Rai ha rifiutato di mandare i trailer del tuo film…

Quando ho letto la lettera della Rai mi sembrava un testo di Orwell: più leggevo, meno capivo. Ho l’impressione che ci sia una guerra in atto e che abbia a che fare proprio con la libertà di espressione. Dire le stesse cose che dico io, magari scrivendo, fa meno impressione: usare il cinema, che è un linguaggio più emotivo, colpisce, invece, di più… Sembra che le parole non contino più e che sia necessario ricorrere ad altro.

La videocrazia finisce con Berlusconi?

Siamo noi a farla finire! Se la tv è lo strumento più forte, allora, facciamola noi. Ho portato mio figlio, tre anni e mezzo, a vedere un film e lui mi ha detto: “Papà, al cinema si può solo guardare avanti…”.

Forse, Berlusconi ha trovato il terreno adatto…

Io descrivo la mia versione della storia italiana: ho scelto di partire dall’avvento della tv commerciale. Può essere discutibile, ma mi prendo questa libertà.

La responsabilità della situazione attuale è, comunque, anche dei telespettatori italiani. O no?

Spero che chi veda il film pensi che puoi dare tu una visione del mondo. La situazione attuale non ha a che fare con la genetica degli italiani, dipende molto dall’alto. Io cerco di fare qualcosa per cambiare le cose.

Credi davvero che il film possa cambiare le cose?

La Rai e Mediaset hanno censurato il trailer e il risultato è stato che è cresciuto l’interesse. E’ chiaro che le cose cambieranno, non c’è destino: decidiamo noi il futuro!

Mariella Cruciani


di Redazione
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