Lumière – L’avventura del cinema

La recensione di Lumière – L'avventura del cinema, di Thierry Frémaux, a cura di Francesco Parrino.

Nel 1895 i fratelli Auguste e Louis Lumière inventano il cinematografo, la macchina capace di riprendere il mondo. I loro operatori, inviati ai quattro angoli della terra, diedero inizio alla più grande avventura della modernità: catturare la vita, interpretarla, raccontarla. Filmare il mondo vuol dire per i Lumière fermare nelle immagini in movimento la storia del loro tempo: La nostra storia. Tra il 2016 e il 2024, il direttore dell’Institut Lumière di Lione nonché delegato generale del Festival di Cannes, Thierry Frémaux, decide di riportare alla luce oltre centinaia di film Lumière dandovi loro una nuova vita cinematografica da cui trarre spunti di riflessione critica sulla contemporaneità. Dopo i 114 film di Lumière! La scoperta del cinema, eccone altri 120 per Lumière – L’avventura del cinema, al cinema dal 3 aprile con Il Cinema Ritrovato al Cinema della Cineteca di Bologna in collaborazione con Lucky Red.

L’occasione è quella per riscoprire un cinema dimenticato, tralasciato, o forse ingenuamente considerato nei decenni come mera espressione tecnica. Eppure pioneristico e di fondamentale visione per addetti ai lavori, critici o “semplici” cinefili. Perché si, Georges Méliès ha creato la magia, ha gettato il cinema nel mondo dell’immaginifico reinventando la realtà in forma fantastica e illusoria a ogni frammento, ma è dei Lumière l’intuizione del cinema del reale. È cinema-verità, realtà in presa diretta in cui l’occhio dello spettatore viene assimilato dalla cinepresa. Un cinema nato con innocenza e candore nella sua ricerca di bellezza nelle piccole cose di ogni giorno. Un cinema semplice e dal linguaggio primitivo quello dei Lumière, che non sente l’obbligo di impressionare il proprio pubblico e che trova meraviglia nella sua innata spontaneità, ma in cui è possibile leggerci e trovarci di tutto. Ovvero del perché Lumière – L’avventura del cinema è un documento filmico di fondamentale importanza.

C’è il teatro kabuki e il cinema chambara, l’Impressionismo di Pierre-Auguste Renoir, la vita ad altezza tatami di Yasujirō Ozu e il cinema delle lunghe inquadrature di realismo magico di Robert Bresson e Agnès Varda. E tutto in quei film, quelle vedute come le chiamavano i Lumière, della durata non superiore ai cinquanta secondi, che 130 anni dopo l’occhio critico contemporaneo di Frémaux prova mettere in discussione interpretandone la ratio sotto una nuova luce. Oltre la storia e i confini del tempo, il cinema pre-cinematografico delle vedute Lumière non è poi così diverso dalle forme di post-cinema che vediamo ogni giorno nei contenuti dei social media prodotti dai prosumers in termini di forma, struttura e durata. Una provocazione? Forse, ma non è nemmeno questa la ragione per cui Lumière – L’avventura del cinema è nulla meno che una visione folgorante che non potete perdervi. La dichiarata intuizione creativa di Frémaux, infatti, era quella di realizzare un grande film Lumière da tante vedute Lumière. Rendere lungometraggio ciò che, per sua stessa natura, è nato come cortometraggio (se non perfino semplice clip), unendone gli estremi nell’armonia di montaggio reso magia da un voice-over ironico, divertente e mai invasivo (Frémaux stesso in v.o. Valerio Mastandrea in italiano) che approfondisce, unisce e incanta. È una bella idea di cinema quella di  Lumière – L’avventura del cinema, commuovente e tremendamente romantica, che scalda il cuore e pone domande con occhio lucido e spirito critico.


di Francesco Parrino
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