Il caso Goldman
La recensione di Elisa Baldini, seguita dalla rassegna stampa a cura di Simone Soranna riguardo a Il caso Goldman di Cédric Kahn, Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani.

Il caso Goldman, di Cédric Kahn, distribuito da Movies Inspired, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:
«Cédric Kahn ricostruisce il celebre caso del rapinatore Pierre Goldmann, ebreo e militante di sinistra, a processo nel 1976 per un duplice omicidio di cui si dichiarava innocente, e costruisce un film processuale splendidamente classico, chiuso in un’aula di tribunale ma serratissimo e politico».

La recensione
di Elisa Baldini
Cédric Kahn, attore e regista con alle spalle una carriera di oltre trent’anni, sceglie con Il caso Goldman una storia fatta di parole e di idee. Pierre Goldman, figlio di ebrei polacchi che avevano fatto la Resistenza, militante nell’estrema sinistra e poi bandito anarchico, fu arrestato nel 1970 con vari capi d’accusa, tra cui quello più grave: aver ucciso due persone durante l’assalto ad una farmacia, unica imputazione che questi rifiuterà fermamente e per cui non esistono prove, sulla quale si basa il secondo processo a suo carico svoltosi tra la fine del 1975 ed il 1976.
Un evento che ebbe una grande eco mediatica, anche grazie alla pubblicazione del libro autobiografico Memorie oscure di un ebreo polacco nato in Francia dove Goldman insinua il dubbio di una macchinazione a suo danno da parte degli organi di polizia francesi basata su un pregiudizio politico e razzista, e che gli portò il sostegno del mondo intellettuale di sinistra parigino. Insieme alla co-sceneggiatrice Nathalie Hertzberg, Kahn ricostruisce e rimonta la narrazione del processo basandosi su un attento studio degli articoli d’epoca e sulle testimonianze dei due avvocati che difesero Goldman, Georges Kiejman e Francis Chouraqui.
Tranne che per un breve prologo iniziale che ha lo scopo di mostrare la forte tensione che correva tra Goldman e il suo giovane difensore Kiejman, Kahn lascia tutto quello che si svolge al di fuori del processo fuori dal film e opta per una regia essenziale di impianto quasi televisivo: tre telecamere fisse posizionate in tre punti diversi che riprendono le testimonianze e le arringhe, spesso interrotte dai sagaci sbotti d’ira di Goldman (interpretato da un magistrale Arieh Worthalter).
Un impianto solo apparentemente minimalista per una querelle di sguardi orchestrata al millimetro, dove i piani di ascolto acquistano una rilevanza pari a quelli parlanti, quasi che fossero la dimostrazione in forma di montaggio filmico dell’assunto che Goldman ha riassunto perfettamente nella frase “Sono innocente perché sono innocente.” In assenza di prove, la verità è solo una questione di punto di vista.

Una breve rassegna della stampa italiana sul film
(a cura di Simone Soranna)
Sin dalla sua presentazione al Festival di Cannes 2023, dove ebbe l’onore di inaugura la sezione parallela della Quinzaine des cinéastes, Il caso Goldman è stato accolto piuttosto positivamente dalla stampa italiana.
Pedro Armocida, sulle pagine di Il giornale, descrive il film come un thriller molto teso in grado di sintetizzare al suo interno una personalità molto complessa come quella del protagonista. Scrive così il critico: «Il caso Goldman è un perfetto teorema, anche cinematografico, sulla messa in scena della giustizia e di processo. Al di là del personaggio reale Pierre Goldman, criminale che rapinava negozi a Parigi negli anni ’70 per diventare, in carcere, un’intellettuale amato dalla sinistra -, l’estraneità da lui professata a un duplice omicidio si trasforma in un coeso thriller giudiziario, tutto chiuso dentro a un’aula di tribunale».
Gli fa eco Aldo Spiniello, che su Sentieri Selvaggi sottolinea lo sguardo poliedrico del cineasta, ora alle prese con la sfida di fare i conti con il legal drama: «il cinema di Cédric Kahn sembra cambiare ancora una volta forma. Qui è alle prese con il legal drama e affronta Il caso Goldman, una vicenda al centro di un grande dibattito nella Francia degli anni ’70, tanto da portare alla mobilitazione di celebrità e intellettuali, Simone Signoret su tutti, e poi Sartre, Simone de Beauvoir…».
Roberto Nepoti, su La Repubblica, si accoda a queste tesi provando però a suggerire un ulteriore confronto: quello con il cinema statunitense. Afferma infatti il critico: «nella sua messa in scena teatrale, Il caso Goldman è, in fondo, l’antitesi degli infiniti “courtroom” all’americana: rinunciando a tutti gli artifici retorici del genere, Kahn lascia a ciascuno di noi la responsabilità di fare i conti con la propria morale».
Roberto Silvestri, su Film Tv, preferisce concentrarsi sull’interpretazione del protagonista poiché, a suo dire, «l’attore belga Arieh Worthalter, emulo di Volonté, restituisce l’indomabile forza punk ante litteram di Pierre: è sincero, elettrico, in crisi mentale permanente, geniale manipolatore, scolpisce ogni parola, a cominciare da “sono innocente perché sono innocente” e “la polizia francese è fascista”».
di Elisa Baldini