Bring Her Back – Torna da me
La recensione di Bring Her Back- Torna da me, di Danny e Michael Philippou, a cura di Roberto Baldassarre.

L’horror è un genere che piace, che attira, sin dalle origini del cinematografo. Richiama gli spettatori perché sono alla ricerca di emozioni forti e orride; mentre alletta i registi per due motivazioni: da un lato per una mera questione economica (un horror può incassare bene a fronte di un piccolo investimento), dall’altro perché permette di essere usato come metafora per veicolare alti e cupi discorsi socio-politici, come ben ha dimostrato George A. Romero. È un genere ben codificato, ma che al contempo sa essere elastico, permettendo di essere manipolato – o spregiativamente manomesso – a piacimento, in particolar modo attraverso le contaminazioni con altri generi. In questi ultimi anni l’horror sta avendo un’ennesima gioventù, tra remake, reboot e altalenanti tentativi di innovazioni narrative e stilistiche.
Tra i giovani registi di questa impetuosa – ma non sempre ben accolta – corrente ecco dalla lontana e “quieta” Australia i gemelli Danny e Michael Philippou, giovani autori che avevano iniziato, sotto il nickname RackaRacka, la realizzazione di cortometraggi pubblicati sul loro omonimo canale YouTube. L’esordio nel lungometraggio, dopo la fortunata produzione di Babadook (2014) di Jennifer Kent, avviene con Talk to Me (2022), che raccoglie diverse recensioni positive. Già con quel primo film i gemelli Phippou mostrano la loro specifica idea di cinema orrorifico: la tragedia, il male, il metafisico e l’abbondante scroscio di sangue, scaturiscono da situazioni quotidiane. Tutto avviene all’improvviso e i protagonisti si ritrovano al centro – vittime – della virulenta vicenda, che diviene sempre più asfissiante e sanguinolenta. Anche la loro seconda regia Bring Her Back – Torna da me (Bring Her Back, 2025) parte dagli usuali presupposti. E anche in questo caso i protagonisti scaraventati nell’orrore sono adolescenti. Pertanto un classico teen horror che poi si mischia con altre situazioni viste già in passato, con l’aggiunta di qualche ritocco. La giovane protagonista è cieca, quindi ha più fatica nel districarsi nell’orrorifica vicenda.
Ciò ricorda lo stesso handicap che affliggeva Audrey Hepburn in Gli occhi della notte (Wait Until Dark, 1967) di Terence Fisher oppure Uma Thurman in Gli occhi del delitto (Jennifer 8, 1992) di Bruce Robinson. Le videoregistrazioni perturbanti, con l’usuale nastro rovinato, rimandano a Ring (Ringu, 1998) di Hideo Nakata, e il satanismo a un’inevitabile rimando a Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York (Rosemary’s Baby, 1968) di Roman Polanski. Quindi il film è un ammasso cinefilo con l’aggiunta di grondanti scene gore e anche una svolta narrativa inaspettata. Tutto già visto (e rivisto), quello che cambia, trasformando i gemelli Philippou in enfants prodige, è proprio l’accattivante stile registico, con tocchi di humour nero, che pare abbia rivitalizzato l’horror. Oltre ciò, l’aurea di novità è che proviene dall’Australia, che stando alla storiografia cinematografica riesce ogni vent’anni a stupire la restante cinematografia mondiale. Il pregio di Bring Her Back – Torna da me è che sicuramente non deluderà gli spettatori riguardo al quantitativo di gore mostrato.

di Roberto Baldassarre