Generazione romantica

La recensione di Generazione romantica, di Jia Zhangke, designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI.

Generazione romantica, di Jia Zhangke distribuito da Tucker Film e in uscita in sala il 17 aprile, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:

«Attraversando i primi vent’anni del terzo millennio, nella prospettiva delle profonde trasformazioni economiche e sociali della Cina, Jia Zhang-ke narra una storia d’amore nella malinconica ricerca di un tempo e di un luogo cui appartenere. Affidandosi a Zhao Tao e Li Zhubin, tradizionali interpreti dei suoi film, il regista costruisce una parabola sentimentale che unisce i destini dei protagonisti nell’evoluzione stessa del filmare, dall’analogico al digitale, ripercorrendo il suo cinema e anche utilizzando materiale girato nel corso degli anni».

Nel corso della sua trentennale carriera, Jia Zhangke ha spesso raccontato la Storia recente della Cina sviluppando anche una riflessione sulle funzioni e le trasformazioni dell’immagine, si pensi per esempio al sapiente uso di formati diversi in Al di là delle montagne.

Generazione romantica – presentato in concorso allo scorso Festival di Cannes – conferma la linea poetica dell’autore e ne radicalizza il discorso meta-cinematografico.

Ambientato tra il 2001 e il 2022, il film racconta una storia d’amore che attraversa gli avvenimenti più importanti di questi vent’anni, dalla crescita economica cinese alla pandemia. E come in Al di là delle montagne – forse il titolo che gli si avvicina di più – si passa gradualmente da un climax inizialmente euforico (per lo sviluppo economico, per l’assegnazione delle Olimpiadi, ma anche per la giovinezza stessa) a un’atmosfera più mesta, dovuta sia alle vicissitudini dei personaggi sia alla disgregazione della società cinese, causata dall’evacuazione di intere città (il riferimento è alla costruzione della diga delle Tre Gole, già raccontata in Still Life), dalla corruzione, dalla speculazione edilizia e dalla diffusione del Covid. Una visione critica e amara della Cina al tempo del capitalismo di Stato che però apre anche uno scorcio di speranza attraverso l’omaggio alla resilienza e alla resistenza del popolo sinico, come dimostra l’ultima – bellissima – inquadratura, che riprende un gruppo di corridori, simbolo della volontà di andare avanti nonostante le delusioni di questi decenni.

Tutto ciò raccontato per in gran parte attraverso il montaggio di una serie di filmati di repertorio girati da Jia Zhangke stesso, alcuni tratti dai suoi titoli precedenti (in primis, Unknown Pleasure), altri da riprese varie realizzate negli ultimi vent’anni. In questo modo, l’autore non solo unisce fiction e documentario, ma riflette inoltre sulla doppia natura dell’immagine, quella di “testimone” di luoghi, persone e periodi che non esistono più e quella invece più mutevole e cangiante, fluida e fragile, mai uguale a se stessa.

Infatti, mentre da un lato tali riprese immortalano una Cina in gran parte scomparsa (si pensi alla città evacuata per costruire la diga), dall’altro esse stesse mutano e cambiano la propria natura in quanto vengono estrapolate dal loro contesto originario per formare, grazie al montaggio, un’opera nuova e diversa, modificando la loro funzione iniziale e trasformandosi in qualcos’altro. Un uso creativo dell’archivio dal quale emerge un film a tratti ostico e poco narrativo (l’esile storia è qui un pretesto per descrivere un Paese e riflettere sull’immagine), ma comunque originale e affascinante, che dimostra inoltre quanto Jia Zhangke sia un autore al tempo stesso fedele alla sua linea poetica e in costante ricerca di linguaggi nuovi. Ed è anche per questo che si tratta di uno dei registi più importanti del cinema contemporaneo.


di Juri Saitta
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