Scrivere nella bufera: il convegno del Premio Solinas

Un resoconto a cura di Paola Casella.

“Le storie vincono su tutto”: il regista e sceneggiatore Valerio Vestoso, che ha codiretto la serie Vita da Carlo insieme a Verdone, si dichiara ottimista rispetto al quesito posto dal convegno dal titolo “SCRIVERE NELLA BUFERA. Le storie hanno ancora il potere di colpire al cuore?”, che si è svolto durante il tradizionale incontro a La Maddalena dal 23 al 28 settembre, celebrando il quarantennale del Premio Solinas, uno dei principali (e rari) incubatori di sceneggiature in Italia.

Il convegno ha riunito sceneggiatori, registi, produttori, critici e giornalisti per discutere lo stato dell’arte (e dell’industry) del cinema italiano contemporaneo, e “cercare delle modalità di accesso al lavoro per veicolare la propria voce e il proprio sguardo, intercettando ponti fra gli sceneggiatori, i produttori e le reti, e creando percorsi di libertà e di costruzione”, come ha detto Annamaria Granatello, Presidente e Direttrice del Premio Solinas, nonché organizzatrice e animatrice del convegno.

Granatello ha ricordato come il Premio sia stato “fondato con un gesto politico per sostenere uno sceneggiatore come Franco Solinas, che lottava per gli sceneggiatori”, e ha ricordato ai presenti che “si lavora anche sulla linea del piacere: non si può fare questo lavoro se non ci si diverte”. E Re Salvador, uno degli autori di sceneggiature più giovani presenti al convegno, che ha cofirmato la  serie Baby e cofondato il Collettivo Grams, ricorda che un copione deve avere “la capacità di emozionare il pubblico, e prima ancora i produttori”, invitando i suoi collegi “non a scrivere la cosa che funziona, ma quella che fa emozionare”.

Ma le difficoltà concrete per gli autori non mancano. Antonio Celsi, che con la sua Elsinore Film ha prodotto film di nomi nuovi come Carolina Cavalli, Fulvio Risuleo e Filippo Barbagallo, afferma che l’elemento fondamentale di una sceneggiatura è la sua “voglia di esistere”, ma ha ricordato anche che “la partita è da giocare sulla distribuzione”, chiamando in causa il convitato di pietra del convegno. “Perché non abbiamo un corridoio di distribuzione per le opere prime?”, gli ha fatto eco Marina Marzotto, Amministratore Delegato della casa di produzione Propaganda Italia, che ha lanciato nuovi talenti come Paolo Strippoli. “E perché il fondo massimo per un’opera prima deve essere di 250mila euro, quando magari la sua realizzazione necessità di un budget maggiore?” Marzotto ha notato anche che “il pubblico sta invecchiando, e quando proviamo ad innovare il linguaggio dobbiamo ricordarci di non renderlo comprensibile solo alle nuove generazioni, altrimenti lo spettatore più anziano ci rifiuta”.

Jacopo Del Giudice, sceneggiatore dei primi due film di Strippoli Piove, già sceneggiatura vincitrice al Solinas, e La valle dei sorrisi, Miglior Soggetto sempre al Solinas, ha confermato che “il pubblico è estremamente diffidente rispetto al genere, in particolare l’horror”, ma ha aggiunto che continuerà a scrivere “film che mi piacerebbe vedere al cinema”, e che come autore si deve “provare almeno a divertirsi, e ogni tanto a sognare”. “Puoi capire che cosa ha voluto il pubblico in passato, ma non sai cosa vorrà in futuro”, ha fatto notare il regista e sceneggiatore Stefano Sardo, che di recente ha scritto e diretto Una relazione e Muori di lei, e ha fatto parte del team di sceneggiatura di L’arte della gioia. Sardo ha anche denunciato il taglio di fondi pubblici allo sviluppo delle sceneggiature, così come Marina Marzotto, ricordando che “dovremmo poterci permettere di buttare via lo sviluppo, se non funziona, e di poter dire che un progetto non va prodotto, se non funziona”.

“Abbiamo imparato a inciampare e a fallire”, ha ricordato De Giudice, facendo cenno a “passi falsi, opzioni scadute, passaggi a vuoto. Ma ci siamo incaponiti nel voler portare a termine i nostri progetti”. Come avrebbe detto Beckett, anche gli sceneggiatori hanno imparato a “fallire, tentare di nuovo, fallire di nuovo, fallire meglio”, e a volte anche riuscire, come è successo a lui che ha recentemente visto La valle dei sorrisi presentato alla Mostra del cinema di Venezia (benché Fuori Concorso)

“I produttori sono interessati alla visione degli sceneggiatori, e cercano sempre nuovi talenti”, ha fatto presente Lucrezia Iussi, delegata di produzione di Indiana Production. Il problema, semmai, è nello sviluppo drammaturgico: “I soggetti possono anche essere belli, ma una sceneggiatura ben sviluppata è un’altra cosa. Noi preferiamo un autore che sa scrivere un buon dialogo a uno che ha una bella idea. E film come Vermiglio o serie come Fleabag non erano certo hi concept – potremmo definirle la storia di una famiglia in montagna e di una trentenne che non sa cosa fare della sua vita – ma il loro sviluppo drammaturgico ha reso entrambi efficaci ”. Giannandrea Pecorelli, produttore e fondatore di Aurora Film e Aurora TV, nonché sceneggiatore e regista, ha lamentato invece una mancanza di originalità: “Vedo i trailer dei film italiani in uscita e penso:  ‘Cavolo, questo l’ho già visto!’” Ma la sceneggiatrice Silvia Napolitano, autrice di film e serie recenti come I bastardi di Pizzofalcone e Nero a metà, fa notare che “i network e il mercato non vogliono storie originali, preferiscono adattare romanzi o sceneggiare fatti di cronaca”.

“Quel che manca”, ha osservato Iussi, “è la possibilità di riconoscerci in storie che parlano di noi, e personaggi vivi che non siano solo la rappresentazione dei loro autori sotto varie forme”. Michele Pellegrini, sceneggiatore di Gianni Zanasi e di Massimo Venier per i nuovi film di Aldo, Giovanni e Giacomo, nonché di serie come Imma Tataranni e tv movie come Champagne – Peppino di Capri, ha obiettato: “Io rappresento il cinema popolare, il che è una bella etichetta e una grande responsabilità, e il presente si racconta: il problema è che questo racconto spesso è scadente dal punto di vista realizzativo. Bisogna sempre chiederci cosa è vero, cosa è sincero, perché tra ciò che si scrive e ciò che viene realizzato c’è spesso un’interruzione della catena di entusiasmo”.

“Nessuno pensa di fare un film che non vedrà nessuno”, ha aggiunto il regista Pappi Corsicato, autore di film come Libera, recentemente riproposto nelle sale, I buschi neri e Il volto di un’altra, nonché di serie come Inganno. “Ma in questo mestiere non ci sono regole, è un lavoro aleatorio, fatto di compromessi: la certezza non te la dà né il successo né il talento. Ma bisogna imparare a navigare il compromesso e trovare in quello un motivo in più per essere più creativi, una chiave interpretativa nuova. Dobbiamo dimostrare talento anche nel pragmatismo, mettendo in conto che saranno momenti in cui non ti chiameranno e lo stato d’animo ansiogeno e avvilente ritornerà. In quel caso non possiamo farci troppe pippe, ma rimanere concreti e lavorare”. “Va distinto il conflitto dalla guerra”, ha aggiunto Ilaria Macchia, sceneggiatrice di Le assaggiatrici e delle serie La storia e Petra. “Dobbiamo scrivere progetti che hanno speranza, che siano un invito alla pace: io non voglio più fare la guerra”

“Spesso i produttori sono bravi burocraticamente a trovare i fondi, ma non sono veri interlocutori”, ha affermato la regista Cinzia H Torrini. “Avere una sponda, dei bravi editor, mi ha aiutato a non cedere, perché bisogna lottare fino in fondo se si crede in quello che si sente. E se ti rifiutano bisogna capire che cosa ha dato loro fastidio”. Riccardo Tozzi, patron della casa di produzione Cattleya, ha affermato però che “una nuova leva di produttori sta codificando il rapporto con i registi” nella direzione di un nuovo dialogo. “Non fate gli autori chiusi nella loro cameretta”: noi dobbiamo cambiare il mondo”, ha detto infine Silvio Maselli, produttore di film di finzione come My Soul Summer e documentari come Pino Daniele nero a metà, ai giovani finalisti del Premio Solinas 2025 . “E appuntamenti come questo ci fanno percepire come parte di una comunità, e ci fanno sentire meno soli”, ha concluso Stefano Sardo.


di Paola Casella
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