Tickets
A differenza di altri film a più mani, come, ad esempio, il recente, e deludente, Eros di Antonioni, Soderbergh, Kar Wai, Tickets di Olmi, Kiarostami, Loach, risulta abbastanza compatto e coerente: il tempo passa veloce e lo spettatore non si annoia mai.
La pellicola si apre con le immagini di Olmi che racconta, con garbo e profonda umanità, l’innamoramento di un maturo farmacologo (Carlo Delle Piane) nei confronti di una giovane donna (Valeria Bruni Tedeschi).
L’importanza che, come sempre, il regista italiano attribuisce all’interiorità, dunque, agli sguardi, ai volti, ai primi piani, si ritrova anche nella parte affidata a Kiarostami, in cui un giovane (Filippo Troiano), che sta facendo il servizio civile, trova il coraggio di ribellarsi alla dispotica signora affidatagli.
Atmosfere e toni meno intimi e più militanti nell’episodio conclusivo, opera di Ken Loach: qui, tre ragazzi scozzesi devono decidere se sacrificarsi e fidarsi di quanto racconta loro una famiglia albanese, oppure no.
Le tre vicende non sono affatto separate e si svolgono, tutte, su di un treno che parte dal centro Europa e arriva a Roma; il titolo allude, probabilmente, anche a biglietti metaforici per una vita migliore o, quantomeno, per delle possibilità nuove: d’amore per l’anziano signore, di scoperta di sé e di riscatto per il ragazzo, di solidarietà per i protagonisti del finale.
Complessivamente, il film corre, proprio come un treno, e i tre registi confermano il proprio talento e la propria concezione del mondo: quello che manca è l’urgenza d’espressione e la sensazione che resta a chi guarda è quella di trovarsi di fronte ad un’esercitazione ben riuscita ma, sostanzialmente, fine a se stessa e non necessaria.
di Mariella Cruciani