Le città di pianura
La recensione di Le città di pianura, di Francesco Sossai, designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI.

Le città di pianura, di Francesco Sossai, distribuito da Lucky Red e in uscita il 25 settembre 2025 è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:
Unica possibile parafrasi italiana di Shakespeare a colazione, La città di pianura è un road movie imbevuto di alcool, di ribellismo e di una malinconia che non cede mai al disfattismo e al nichilismo. Sossai mescola la commedia all’italiana con Jarmusch e Kaurismaki, e traccia una mappa geografica, antropologica e psicologica di un territorio tanto fisico (la provincia veneta) quanto interiore, per raccontare la voglia testarda e sventata di vivere una vita di cui sfuggono sempre segreti e significato.

La recensione
di Francesco Parrino
Carlobianchi (Sergio Romano) e Doriano (Pierpaolo Capovilla), due spiantati cinquantenni, vivono seguendo una filosofia: andare a bere l’ultimo bicchiere. Aspettano un loro vecchio amico, Genio (Andrea Pennacchi), di ritorno dall’Argentina, per ritrovarsi dopo tanti anni e risolvere un piccolo conto in sospeso. Quella stessa notte, vagando in macchina da un bar all’altro, si imbattono per caso in Giulio (Filippo Scotti), un timido studente di architettura: l’incontro con questi due improbabili mentori trasformerà profondamente Giulio nel suo modo di vedere il mondo e l’amore, e di immaginare il futuro. Ovvero Le città di pianura, opera seconda di Francesco Sossai a quattro anni dall’esordio di Altri Cannibali che arriva finalmente al cinema dopo aver saputo stupire ed emozionare alla 78esima edizione del Festival di Cannes dove il film è stato presentato in anteprima mondiale nella sezione Un Certain Regard. Parte dal vissuto personale del trentaseienne Sossai, Le città di pianura, a partire dall’inside joke in apertura di racconto la cui fortuita e scherzosa omonimia è dell’autore presenza silenziosa, sino all’intero corpo narrativo.
Su ammissione dello stesso regista, infatti, Le città di pianura nasce da un incontro fortuito avvenuto in una notte d’inverno di quasi dieci anni fa a Venezia con un giovane studente di architettura dello IUAV. Su di esso, tutto intorno, una raccolta di immagini e suggestioni, pezzi di dialoghi origliati al bar e in treno, su autobus e piazze vuote, resi infine, da Sossai e il co-sceneggiatore Adriano Candiago, un racconto totalizzante profondamente locale, eppure sorprendentemente universale, sul cogliere l’attimo e sul tempo della vita, o per meglio dire sui tempi della vita. Di quando tutto sembra possibile e raggiungibile e di quando, invece, decide che non è così, costringendo l’intera esistenza in un eterno vagare in un paesaggio che non esiste: un’enorme infrastruttura in cui muoversi senza nessun posto dove andare. Nel suo impianto da poeticamente scanzonato road movie nella sterminata pianura veneta che viaggia spedito, al ritmo di una ballad, tra fiumi di birra e cocktail di gamberi stantii, lumache in umido con polenta, strisce di cocaina e gare rally in motoape, ricordi falsati da soggettive fantasiose e altri vividi che odorano del vissuto del reale, Sossai racconta di sogni a occhi aperti e altri mancati. Di iniziazioni, prime volte e ultime volte indimenticabili, di baci idealizzati, regali improbabili e corse in treno.
Ma soprattutto dell’esperienza, dell’importanza di sperimentare e di come la realtà renda più bello ciò che abbiamo soltanto potuto immaginare su carta. “Non c’è mai un’altra volta” dice una delle linee dialogiche che de Le città di pianura è un po’ il cuore tematico, umano e spirituale. E se Romano e Capovilla si segnalano in performance intense, malinconiche, spigolose e paterne, e Scotti incarna bene nei suoi contorni caratteriali di puro talento i panni di un figlio o forse un fratello minore a cui vorremmo dare un consiglio affettuoso, l’inerzia del racconto e delle sue dinamiche a metà tra il miglior Ashby dolceamaro de L’ultima corvé e il sensazionale Risi de Il Sorpasso, finiscono con il rendere Le città di pianura un film meritevole di menzione da cui è facile – e bello – lasciarsi stregare.
di Francesco Parrino