Antrophophagus: Le origini
La recensione di Antrophophagus: Le origini, di Dario Germani, a cura di Emanuele Di Nicola.

Non c’è niente di più sincero di un’ossessione: per Dario Germani, evidentemente, Antrophophagus di Joe D’Amato del 1980 è una vera e propria ossessione. E fa bene a rivelarlo così candidamente con le immagini. Incastonato nella sterminata produzione di Aristide Massacesi, il film sanguinoso e incubale, un cannibalico sull’isola greca, una mattanza sotto il sole divenne in breve cult nel cinema italiano più underground, all’epoca sminuito come “di genere” e poi recuperato in sede di culto. Peccato che tanti film d’autore all’inizio degli anni Ottanta siano andati persi, svaniti nella percezione, invece Antrophophagus è entrato nella sfera del mito. Da parte sua, Dario Germani è uno che persegue tenacemente il cinema di genere italiano, soprattutto horror ma anche thriller e action, davvero indie a basso budget, tenacemente fuori dal circuito, proponendosi come erede contemporaneo del bis, l’età dell’oro degli anni Settanta e Ottanta. Il regista aveva già sfiorato il moloch con Antrophophagus II nel 2022, allo stesso tempo sequel e rispettoso omaggio alla fonte. Torna ora sul luogo del delitto, anzi del pasto, con Antrophophagus: Le origini, prodotto da Flat Parioli, al cinema dal 28 luglio.
Il nuovo film svolge una doppia funzione, è sia un sequel che una origin story del titolo di quarantacinque anni fa, tanto che il titolo inglese è Legacy. Nello specifico la protagonista è Hanna (Valentina Corti), che all’inizio si ritrova coinvolta in un fatto di sangue: nel letto di ospedale, incinta e sospettata dell’omicidio del marito, decide di far perdere le proprie tracce e ripara verso l’Ungheria, per raggiungere il parente più prossimo che è il cugino Hugo (Salvatore Li Causi). Qui, ovviamente, trova ospitalità ma apre anche una fase di oscuro confronto famigliare: dialogando con l’uomo, il racconto torna indietro in flashback fino all’Ungheria degli anni Cinquanta, in bianco e nero tra povertà e fame, dove gli antenati dei personaggi per nutrirsi compiono una scelta estrema. E scoprono che piace. Hanna e Hugo dunque sono i discenti del protagonista di Antrophophagus di Massaccesi, e si trovano a dover affrontare i loro appetiti oggi, in un mondo e un cinema radicalmente mutato.
Dario Germani compone un secondo, affettuoso omaggio a Joe D’Amato ma non lo sfida sul suo terreno, come segno ulteriore di amore, bensì sviluppa uno sguardo eminentemente contemporaneo. Di quel cinema mantiene però gli strumenti, la violenza estrema e il gore in campo, senza timore di mostrare; perché Le origini è quanto di più disturbante si possa vedere in Italia oggi, anche per questo viene occultato in poche sale e va doppiamente sostenuto. Il regista non si preoccupa di spiazzare il pubblico, anzi cerca proprio il sangue e l’eccesso: quando ci si arrende al lato oscuro, cioè quando scoppia il cannibalismo, parte anche la mostra delle atrocità che si dispone in crescendo, superando il principale contrasto dell’intreccio – Hanna che respinge la propria natura – e convergendo verso il fiero pasto. Il climax contiene citazioni all’originale, in particolare la nascita di un neonato che dominava orribilmente l’ultima porzione di Antrophophagus del 1980.
Senza svelare oltre, lasciando al piacere perverso della scoperta, c’è da sottolineare però che il gesto di mangiare carne umana acquista nuovo senso nel presente: come postulava Guadagnino in Bones and All, c’è una nuova generazione di “mangiatori” che non può farci niente perché questa è la sua essenza. Può solo continuare a masticare. Allora il dubbio, guardando il film di Germani, sorge spontaneo e inquietante: se nel 2025, tra guerre e apocalisse climatica, l’umanità andasse indietro e tornasse a mangiare carne? Alle origini, appunto, come recita il titolo evocando l’atavico che si riversa nell’oggi. Ma sia chiaro, Antropophagus: Le origini è e resta un film di genere, un horror italiano fiero del suo meccanismo cannibale che tira all’estremo fino allo splatter.

di Emanuele Di Nicola