Tre ciotole
La recensione di Tre ciotole, di Isabel Coixet, a cura di Mariella Cruciani.

Tre ciotole della regista catalana Isabel Coixet é tratto dall’omonimo libro di Michela Murgia, prematuramente scomparsa due anni fa: si tratta di dodici storie che si incastrano e in cui i protagonisti sono costretti, dall’esistenza, a cambiare e a reinventarsi, trovando un modo nuovo di stare al mondo. Coixet, insieme allo sceneggiatore Enrico Audenino, ricava dal volume della scrittrice sarda un plot unitario, con l’obiettivo di sintetizzarne il senso: l’inattesa riscoperta, dopo la fine di un amore e l’irruzione della malattia, di sé, degli affetti, della bellezza della vita.
La trasformazione profonda di Marta (Alba Rohrwacher), dopo la separazione da Antonio (Elio Germano) e la successiva presa di coscienza del male incurabile, è materia altamente cinematografica perché concentra in un unico personaggio temi universali e ineludibili, quali l’identità, le relazioni, il valore dell’esistenza, l’amore e la morte. Non manca, davvero, nessuno degli ingredienti per coinvolgere e appassionare ma, paradossalmente, avviene il contrario: citando Fassbinder, verrebbe da dire “l’amore è più freddo della morte”.
Il film di Coixet fila liscio e scorrevole, come un compitino ben svolto, ma senza anima: tutto è detto, spiegato, ribadito, come in una fiction televisiva che non chiede allo spettatore il minimo sforzo. Il limite principale dell’opera è, probabilmente, nella scelta sbagliata dell’attrice protagonista: Rohrwacher, ottima interprete in altri contesti, appare qui assolutamente fuori luogo e incapace di incarnare con verità e forza la rivoluzione, interna ed esterna, che investe il suo personaggio.
Anche gli altri attori sembrano andare ognuno per proprio conto, togliendo verosimiglianza ed incisività alla storia e rendendo impossibile qualsiasi identificazione o simpatia per chi è sullo schermo. In sintesi, siamo di fronte ad un’occasione mancata: chi si avvicina al film con rispetto ed attenzione, considerandolo un bilancio-testamento di una vita, esce dalla sala a disagio, non avendo ritrovato assolutamente nulla della provocazione, del coraggio, della tenacia, dello spirito ribelle della Murgia ma solo un’esile controfigura perennemente mesta.

di Mariella Cruciani