La valle dei sorrisi
La recensione di La valle dei sorrisi, di Paolo Strippoli, a cura di Christian D'Avanzo.

Presentato in anteprima mondiale alla 82esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, La Valle dei Sorrisi è un film horror scritto e diretto da Paolo Strippoli, regista italiano giunto al suo terzo lungometraggio dopo A Classic Horror Story (2021) e Piove (2022). Distribuito nei cinema da Vision Distribution a partire da mercoledì 17 settembre 2025, La Valle dei Sorrisi ha una durata di circa 122 minuti e presenta un cast corale in cui spiccano Michele Riondino, Romana Maggiora Vergano e Paolo Pierobon. Per quanto riguarda Strippoli, ha già dimostrato con i suoi lavori precedenti di saper ibridare in maniera interessante tre generi in particolare: il drammatico, il thriller e l’horror, per l’appunto.
Gli eventi di La Valle dei Sorrisi si svolgono in un remoto villaggio di montagna chiamato Remis, dove gli abitanti sembrano vivere in armonia, o almeno fino a quando non arriva Sergio Rossetti (Michele Riondino), un insegnante intento a fuggire dal suo trauma. Nonostante le “perfette apparenze”, Sergio non riesce ad entrare in sintonia con le persone di Remis proprio a causa del suo dolore e, per lo stesso motivo, viene a conoscenza di un inquietante rituale: ogni settimana la comunità si affida a Matteo (Giulio Feltri), un adolescente capace di assorbire il dolore altrui. Preoccupato dagli ambigui risvolti e da una quotidianità che man mano si fa più pericolosa, Sergio prova a spezzare il meccanismo perverso che tiene il paese incatenato al sacrificio del ragazzo, ma il suo intervento, anziché riportare equilibrio, innesca una catena di reazioni imprevedibili che mettono a nudo l’ossessione collettiva e l’ambiguità nascosta dietro la facciata sorridente.
Utilizzare l’horror come pretesto per far emergere altro risulta sempre (o quasi) una modalità di narrazione affascinante, e tale aspetto Paolo Strippoli lo ha ben compreso. La Valle dei Sorrisi ha infatti una struttura più complessa di quanto sembri, con sfumature da film drammatico, da racconto di formazione e da horror psicologico a tinte folk, articolando una storia di padri e figli, estendendola fino a mostrare le conseguenze dei rispettivi modi di educare. Se da un lato Sergio viene divorato dal senso di colpa per ciò che ha causato, dall’altro Mauro custodisce suo figlio Matteo come un oggetto museale. Entrambi condividono un’inevitabile ossessione: per il primo le catene della colpa rappresentano un dolore costante e insuperabile, per il secondo la genitorialità è praticamente pari alla gestione di un servizio pubblico, e guai a interrompere la routine. La rappresentazione dell’orrore che, prendendo strade diverse, finisce con il consumare questi padri, è il punto cardine del film, puntando su una strettissima connessione tra immagini e suoni. Infatti, La Valle dei Sorrisi ha sì un’identità estetica che spicca nonostante le differenti derivazioni (d’altronde, cosa non lo è oggigiorno?), ma colpisce ancor di più per il formato sonoro, con le emissioni provenienti da vari oggetti tra cui risaltano, in maniera agghiacciante, una campanella e una corda.
La Valle dei Sorrisi ha un’atmosfera gravosa perché si muove tra la rarefazione e l’onirismo, manifestando la formazione/deformazione di un bambino prodigio nato dalla morte, nella fattispecie dall’evento che ha scatenato la sofferenza di Remis. Matteo incarna le due facce della stessa medaglia, poiché viene presentato come un angelo, eppure detiene in sé un potere che, incanalato dall’egoismo collettivo, potrebbe tendere verso il Male. Quasi tutti gli abitanti del remoto paesino sono consumati dal dolore e al contempo sono assuefatti dalla sorprendente abilità del ragazzo, il quale viene santificato fino ad essere consumato, obbligandolo a creare un’orda reticolare. L’asfissiante accerchiamento sul finale – un negativo disfunzionale dell’abbraccio – evoca quella pretesa umana di poter riversare il proprio dolore sugli altri, atto sociale che comporta sì degli effetti benevoli, ma che talvolta, se forzato, maschera la mancata volontà di accettare i propri traumi e sofferenze. Liberarsene non è la soluzione, ed è anche un modo di fare così egoistico da rendere Matteo uno schiavo, uno strumento, al punto tale da dimenticarsi che è soltanto un ragazzo che vorrebbe vivere e crescere come chiunque altro. Al netto di qualche passaggio didascalico e di un finale che procede troppo per le lunghe, La Valle dei Sorrisi è un horror ben congegnato che fa sfoggio di molteplici suggestioni.

di Christian D'Avanzo