Dracula – L’amore perduto
La recensione di Dracula - L'amore perduto, di Luc Besson, a cura di Mariella Cruciani.
I film sui vampiri sono spesso scambiati per lavori di serie B, degni di interesse per gli effetti speciali o le colonne sonore inquietanti. In realtà, fin dall’epoca del muto, le pellicole sui vampiri si caratterizzano come racconti morali: il conte Dracula, il vampiro per eccellenza, è, infatti, alle prese con il Bene e il Male, la Vita e la Morte, la Morte e l’Immortalità. Il Conte transilvano è, da sempre, l’incarnazione del potere senza limiti, del sesso senza controllo, del desiderio che sfugge a qualsiasi costrizione.
E’ proprio l’incapacità di accettare la frustrazione amorosa che porta Dracula alla perdizione, come si può già vedere nella versione cinematografica con Gary Oldman e Winona Ryder realizzata da Francis Ford Coppola nel 1992. Luc Besson, con il suo “a love tale”, sembra ripartire proprio da lì, rispettandone le parti fondamentali, ma riscrivendone altre con ironia, quasi a prendersi gioco del classico di Bram Stoker.
Vanno in questa direzione le scene con il prete o con l’agente immobiliare ed anche quelle inutilmente sovraccariche d’azione. Viceversa, quando l’attenzione si fissa sul protagonista e il suo delirio passionale, il film ritrova il centro e il senso. Caleb Landry Jones, già visto in Dogman travestito da Edith Piaf, Marlene Dietrich e Marilyn Monroe per cantare l’amore perduto, è naturalmente a suo agio nei panni di chi attraversa i secoli, spinto dal desiderio di fare Uno con l’amata.
Le peripezie del Conte e della sua donna mostrano come anche l’amore oggettuale possa essere vorace e segnato dall’impossibile non meno della relazione narcisistica. Da una situazione del genere, si può uscire in un modo solo: accettando la separazione. E’ allora che si compie il miracolo ed ha luogo il cambiamento: Dracula, il non morto (Nosferatu), fa i conti con il passaggio del tempo, rinuncia all’Io illimitato ed immobile, si piega alla morte, riportando le cose alla normalità.
In definitiva, Besson, pur tra sequenze mozzafiato e altre ai limiti del grottesco, realizza un’opera di educazione sentimentale: alla fine, il Conte Vlad cede perché comprende, finalmente, come la nostalgia inguaribile della simbiosi originaria sia tutt’altro che amore! Come nel film precedente, il regista francese fatica a trovare un equilibrio ed una misura ma, anche questa volta, viene miracolosamente salvato dall’interpretazione dell’ispiratissimo Jones.

di Mariella Cruciani