Arancia meccanica

La recensione di Arancia meccanica, di Stanley Kubrick, a cura di Francesco Maggiore.

E’ buffo quando i colori del mondo diventano reali solo se uno li vede sullo schermo. Essere strani come un’arancia meccanica, fu un’interpretazione di Anthony Burgess resa leggendaria prima da un romanzo scritto in un linguaggio idiomatico, e successivamente da una pellicola diventata iconica nella storia del cinema: Arancia Meccanica. Diretta da un altrettanto leggendario cineasta, ovvero lo statunitense Stanley Kubrick, la pellicola prende in spunto il mondo (e lo slang) narrativo costruito in scrittura da Burgess. La regia riesce a rendere fortemente visivo il degrado di un’umanità odierna che scava nel futuro attraverso la lente deformata (e deformante) dei compagni drughi capeggiati dall’antisociale Alex De Large.

Un’estetica che rimanda ad un panorama asettico e distopico con la colonna sonora importante da rendere tutto il contesto magnificamente crudele. L’ultraviolenza di Alex e dei suoi accoliti, ha un assetto comportamentale totalmente assorbito dalla musica elettronica di Walter (successivamente Wendy) Carlos, che ha rimpiazzato la prima scelta di Kubrick: Ennio Morricone.

La carica di furia violenta che nasce al Korova Milk Bar tra una droga mescalina e un lattepiù modificato, si fortifica e si ritempra in maniera altrettanto bizzarra. All’interno del locale statue decorative nel loro apparente candore, riflettono la visione kubrickiana tra finta purezza e spavalda innocenza.

Il Singin In the Rain ballato da Gene Kelly nel film di un altro Stanley (Donen), è diventato un paradossale contrappunto stilistico, tematico e soprattutto musicale con l’agghiacciante brutalità della pellicola. Ma a rendere memorabile il tutto è il suo interprete: Malcolm McDowell, che nella sequenza della cura Ludovico ha rimediato un potenziale (poi rientrato) danno alla vista. Ma è lo scopo, o meglio il vero senso del potere vissuto in tutte le sue sfaccettature all’interno della trasformazione filmica. La violenza canalizzata del sistema non è un vero indirizzo, ma l’ennesima conferma attraverso la sua visione cinematica di Stanley Kubrick. Il regista ci aveva visto lungo sul futuro contemporaneo e prossimo venturo, in un film che non è invecchiato di una virgola e non fa sconti con la sua debordante apologia del libero arbitrio.

Perchè Arancia Meccanica non è mai tramontato in più di cinquant’anni, ma continua ad essere lo specchio di una non tanto definita società in perenne transizione. Essa, proprio nel peggioramento dei precostituiti modelli valoriali, politici, sociali e culturali, trova la sua linfa vitale in un peccaminoso mutatis mutandis.


di Francesco Maggiore
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