Frankenstein Junior

La recensione di Frankenstein Junior, di Mel Brooks, a cura di Roberto Baldassarre.

Nel raccontare la genesi de Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba (Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, 1964), Stanley Kubrick ha rivelato che assieme al co-sceneggiatore Terry Southern mentre cercavano di adattare il romanzo fantapolitico Red Alert (1958) di Peter George, non riuscivano a non pensare a soluzioni comiche, sebbene l’assunto del libro fosse serio: un probabile scontro nucleare tra Usa e URSS. Il film di Kubrick è un grottesco fantapolitico, però lo si potrebbe definire anche come una demenziale parodia del genere, che in quel periodo abbastanza in auge. Discorso simile con Frankenstein Junior (Young Frankenstein, 1975) di Mel Brooks, paradigmatico caposaldo del genere demenziale. L’idea di parodiare Frankenstein (film, seguiti e romanzo d’origine) fu di Gene Wilder, che però non riusciva a trovare la soluzione giusta per sviluppare una versione comica che reggesse. Fino a quando capì che un valido punto di partenza era quello di costruire la trama attraverso una sconfessione del nipote nei riguardi del noto nonno. Assieme a Mel Brooks, i due lavorarono su soluzioni che rielaborassero alcune note scene del classico Frankenstein (1931) de La moglie di Frankenstein (The Bride of Frankenstein, 1935), ambedue di James Whale, declinandole in versione demenziale. Dopotutto la parodia, come già Brooks fece con Mezzogiorno e mezzo di fuoco (Blazing Saddles, 1974), dissacrante versione comica del genere western, deve rileggere e mettere alla berlina la citazione colta. Come poi in seguita saprà fare, almeno all’inizio, la ditta ZAZ (Zucker-Abrahams-Zucker). Frankenstein Junior, pertanto, sviluppa ipotesi comiche rispetto alla seriosità dell’originale. Filtrate da una rilettura che si basa sull’eredità: i personaggi (il Dr. e il servo Igor) sono nipoti degli originali protagonisti. Gli esempi di reinterpretazione comica sono disseminati – sapientemente – in tutta la pellicola, ma i più fulgidi esempi possono essere: il mostro è anormale, a causa del cervello errato prelevato da Igor, però le sue capacità cognitive sono più tendenti all’idiozia che alla pericolosità criminale. Lo stesso Igor nell’originale è molto caricaturale nella sua deformità e nella sua totale devozione al Dottor Frankenstein, mentre nel film di Brooks Igor è un buffo e irriverente servo. In originale l’incontro tra Frankenstein e il povero e solitario cieco era di matrice compassionevole, poiché è la congiunzione di due povere creature di Dio. Nella versione di Brooks tutto si basa sulla congettura comica che il cieco sia enormemente sbadato, che fa danni fisici al malcapitato mostro. La comicità nel film, però, non si palesa prepotentemente soltanto con la citazione visiva, ma anche con giochi di parole, altro elemento fondamentale in una pellicola demenziale. In questo caso emblematico il misunderstanding verbale tra Frankenstein e Igor basato sull’errata comprensione tra werewolf (lupo mannaro) e where wolf? (dove è il lupo). Qui pro quo verbale perfettamente rielaborato nella versione italiana. Idem con la terrorizzante frau blücher, il cui cognome, per assonanza – nella versione inglese – pare un rimando a colla, quindi gli impauriti cavalli nitriscono perché pensano che saranno macellati per fare la colla.

Però la perfezione parodica creata da Brooks e da Wilder – alchimia che purtroppo non si ripeterà mai più – è dovuta anche la accurata messinscena, che verrà anch’essa meno nelle successive pellicole di Brooks e appena visibile ne Il più grande amatore del mondo (The World’s Greatest Lover, 1977) di Gene Wilder. Frankenstein Junior si avvale del raffinato bianco e nero curato da Gerald Hirschfeld per ricreare le atmosfere gotiche del cinema horror degli anni Trenta, e delle scenografia curate da Robert De Vestel e Dale Hennesy che hanno riutilizzato alcune delle scenografie originali ideata da Kenneth Strickfaden per Frankenstein. Come accennato poco prima, le successive parodie di Brooks – e le “succedanee” pellicole di Wilder e Martin Feldman – saranno via via sempre meno precise, con soltanto piccoli sprazzi di geniale e (ri)elaborata parodia degli originali, con una comicità “a schiaffo” che punterà solo sulla facile battuta (usualmente a doppio senso) o su una gag usa e getta.  


di Roberto Baldassarre
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