La vita va così

La recensione di La vita va così, di Riccardo Milani, a cura di Guido Reverdito.

Ovidio Marras: chi era costui e perché la sua storia è salita alla ribalta delle cronache nazionali e non solo? Pastore sardo oggi 85enne, Marras ha trascorso una vita nell’estremo sud della Sardegna, dove aveva ereditato da generazioni di antenati un terreno e una casa insieme a un piccolo tratturo che dall’abitazione gli permetteva di recarsi nel paese più vicino ma soprattutto di pascolare il proprio bestiame tra gli ulivi secolari della zona e una delle spiagge più belle dell’intero Mediterraneo. Questo equilibrio antico come la terra che gli ha dato i natali si è improvvisamente rotto quando grossi gruppi dell’edilizia palazzinara del paese hanno messo gli occhi su quel pezzo di paradiso in terra progettando di costruirvi un mega resort per straricchi. E mentre troppi suoi colleghi cedevano i propri terreni a peso d’oro (e non per un pezzo di pane come quanti fecero lo stesso ai tempi dell’Aga Khan in Costa Smeralda), e le aziende costruivano i primi hotel devastando il paesaggio, Marras aveva deciso di tener duro, impegnandosi in un’ostinata battaglia legale che lo scorso 2 febbraio ha portato a un esito del tutto insperato visti i contendenti in campo: dopo anni di sentenze e ricorsi – sempre vinti da Marras e dai pochi che lo hanno sostenuto –, la Cassazione ha decretato non solo di bloccare per sempre il progetto, ma anche di obbligare le aziende impegnate nell’impresa a demolire quanto costruito fino a quel momento.

Partendo da questo spaccato di vita vissuta in cui la tenacia del singolo e la difesa del territorio hanno avuto la meglio sull’avidità del profitto, Riccardo Milani e il fido Michele Astori hanno costruito la sceneggiatura di La vita va così, titolo scelto per inaugurare l’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public, a conferma di come questa manifestazione giunta al suo ventesimo giro di boa non smetta di promuovere quel cinema italiano che una volta si chiamava popolare e che però non smette di parlare a tutti senza però mai rinunciare a proporre tematiche del presente in cui l’approccio della commedia leggera si unisce alla riflessione profonda sulle storture e sui problemi del tempo in cui viviamo.

La vita va così inizia nel 1999, quando gli affari si facevano ancora con le lire, e alterna fin da subito i due scenari in cui si svolgerà la battaglia. Da una parte la lingua di costa incontaminata nella zona di Tuerredda (profondo sud della Sardegna), e dall’altra gli uffici sfarzosi con vista sul Duomo di Milano di un colosso dell’edilizia impegnato in speculazioni variamente aggressive in giro per il pianeta. Ambienti questi rappresentati rispettivamente dal coriaceo pastore Efisio Mulas (corrispettivo di finzione di Ovidio Marras) e da Giacomo, presidente del gruppo immobiliare che ha adocchiato rapace quell’angolo di paradiso e si è già messo in tasca tutti i proprietari delle terre su cui dovrebbe sorgere il gigantesco resort progettato, convinto però com’è di essere dalla parte del giusto nel suo intento di conciliare gli utili del profitto con le urgenze del progresso.

Il braccio esecutivo della sua legge palazzinara è Mariano, capo cantiere siciliano molto pragmatico e determinato cui viene affidato il compito (apparentemente facilissimo visti gli esiti delle trattative coi colleghi) di convincere l’anziano Efisio a cedere l’ultimo francobollo di terra ancora da conquistare. Tra i due universi in lotta lontani ere geologiche l’uno dall’altro, si viene a trovare Francesca, figlia di Efisio, impiegata in un hotel di lusso della zona e divisa tra le aspettative di nuove opportunità lavorative per l’intera comunità e il senso intimo di appartenenza a una terra che sente ancora sua.

Quando il testardo ma eroico genitore respinge l’ennesima offerta milionaria (nel frattempo è arrivato l’euro e si arriva a decine di milioni), la trattativa si converte in una lunga e logorante battaglia giudiziaria che va avanti per anni, con la comunità locale che all’inizio si sforza di capire le ragioni del “no” di Efisio, ma che col passare del tempo e col suo ostinato perseverare nel rifiuto lo avversa apertamente addossandogli la colpa di voler negare a quell’angolo di terra dimenticata da tutti la chance di nuove opportunità lavorative e un futuro meno gramo per le generazioni a venire. La fine è più che prevedibile, con i buoni che hanno la meglio sui villain, anche perché a dare una mano all’eroico pastore interviene una giudice di Cagliari (che conosce la famiglia di Marras per via di una bizzarra vicenda personale che è bene non rivelare per non togliere la sorpresa al pubblico), decisa a sua volta a dare un senso a una lotta divenuta simbolo per un’intera regione, imponendo il sigillo della giustizia a un’odissea ventennale.

Il cinema di Riccardo Milani – ormai arrivato con La vita va così al suo sedicesimo lungometraggio e uno dei rarissimi personaggi pubblici a essere spesso additato come “il marito di” (visto che la consorte è Paola Cortellesi) – ha sempre saputo attraversare trasversalmente diversi generi cinematografici, senza però mai rinunciare ad affrontare tematiche legate all’hic et nunc del nostro paese con una spiccata propensione al racconto sociale confezionato usando il linguaggio della commedia (anche se con qualche spruzzata di retorica a buon mercato), in un equilibrio tra impegno e intrattenimento che nel tempo si è convertito in una specie di marchio di fabbrica.

Il tutto confermato in questa commedia in salsa sarda che, proprio per il summenzionato mix di componenti che ha sempre caratterizzato la poetica semplice ma diretta del cinema di Riccardo Milani, in una settimana ha già conquistato i botteghini. E se la risposta del pubblico continuerà a essere in linea col forte gradimento mostrato subito dopo l’uscita convertendo il film in una delle galline d’oro della stagione, in parte lo si dovrà anche al cast scelto con astuzia dal regista: se da una parte l’esordiente Giuseppe Ignazio Loi (vero pastore reclutato per interpretare Efisio Mulas/Ovidio Marras) spacca lo schermo con l’autorevolezza di un veterano, a fargli da degno contorno sono un Diego Abatantuono misurato nel dare anima e corpo al palazzinaro meneghino sconfitto da chi credeva di poter comprare con pochi bruscolini, Virginia Raffaele (che torna a lavorare con Milani dopo il successo di Un mondo a parte) formidabile nel tour de force che l’ha costretta a imparare dialetto e accento sardo senza sembrare plastificata e fasulla, ma anche Aldo Baglio che, orfano dei compagni di merende Giovanni e Giacomo, ha il compito di rendere credibile il capo cantiere Mariano, che dopo vent’anni di battaglie con Efisio ne abbraccia la causa (ma anche la figlia), consapevole che – come recita il titolo – la vita va così e la si deve accettare per le scelte drastiche che richiede di fare.


di Guido Reverdito
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