La voce di Hind Rajab

Le recensioni di La voce di Hind Rajab, di Kaouther Ben Hania, designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI.

La voce di Hind Rajab, di Kaouther Ben Hania, distribuito da I Wonder Pictures e in uscita il 25 settembre 2025, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:

Spingendosi con coraggio e determinazione nella ricostruzione dei tragici eventi accaduti il 29 gennaio 2024 a Gaza, Kaouther Ben Hania crea una intensa tessitura drammatica basata sulla finzione scenica per dare rilievo alla terribile realtà dei fatti testimoniata dalle registrazioni delle vere telefonate tra gli operatori della Mezzaluna Rossa e una bambina di sei anni, che chiedeva aiuto, chiusa in un’auto accerchiata dai carri armati dell’esercito israeliano, mentre il resto della famiglia era già morta. Il film, che intreccia con limpida tensione etica il piano della finzione scenica e quello della verità documentata, offre allo spettatore una testimonianza segnata da sconcerto, indignazione, dolore e pietà, che restituisce le dimensioni reali della disumanizzante tragedia in atto nel territorio palestinese.

La recensione
di Francesco Maggiore

E’ l’udito il senso fisico e simbolico al centro dell’attenzione di quest’opera di Kaouther Ben Hania. La voce di Hind Rajab, Leone d’Argento Gran Premio della Giura all’ultima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia (ma per molti doveva essere Leone d’Oro), è servito a dare “voce” a quella voce che altrimenti sarebbe rimasta soffocata in un singolo episodio. Il racconto in questo caso, è un fardello che reclama il sacrosanto diritto a non essere ignorato.

La regista tunisina ci fa entrare in un mondo, quello della Mezzaluna Rossa, dove dolore, speranza e pragmatismo si uniscono alla verità. Dove il dramma epocale di un popolo martoriato trova “voce” (e anche sintesi) in quella di una bimba di sei anni circondata da un orrore che non è metaforico come quello di Apocalypse Now di Coppola. Ma è autentico, tangibile, vivido, spietato, e rappresentato dai proiettili dei mezzi corazzati dell’esercito israeliano. La tensione degli operatori (e del pubblico in sala) si mescola a quella dell’attesa per un “coordinamento” di soccorso che non è mai sincronizzato, se non volutamente ignorato.

I suoni, le onde d’urto dell’audio e la vocina flebile di una minore (consapevole) abbandonata a sè stessa, regalano tutto il senso di impotenza che il mondo intero sta vivendo nei confronti di un genocidio in pieno stile orwelliano che non si può cancellare, e probabilmente neanche fermare. Poche volte si è vista un’urgenza cinematografica così vicina e calata ai fatti reali che la Storia ci sta mostrando, ma in questo La voce di Hinda Rajab ha un grande pregio. Non è una mera rappresentazione in celluloide di ciò che avviene, ma un documento integrato nel conto che il Ventunesimo Secolo presenta (o presenterà) a tutti noi.

La recensione
di Marco Lombardi

È difficile parlare di un film come questo, la cui portata emozionale non può non fare corto circuito con la cronaca di una guerra che da troppo tempo continua a cancellare le vite degli innocenti. Ci proviamo in maniera crociana, separando la sfera del cinema da quella del dramma della storia.

Il cinema racconta una storia vera, quella di una bambina di 6 anni, Hind, che si trova intrappolata in una macchina con a fianco sei familiari uccisi. Il film si serve delle conversazioni telefoniche che realmente intrattenne con due volontari della Mezzaluna rossa, un ente di origine musulmana votato al salvataggio delle vite umane, in occasione delle tante guerre che insanguinano da tempo il cosiddetto Medio Oriente. Lo fa mettendoci tanta drammaturgia cinematografica, cioè giocando sui tempi della narrazione in maniera non sempre realistica, al fine di dare ampio spazio all’alternanza di speranze e paure, da sempre il meccanismo più sicuro per tenere alta la tensione come se la ripetuta frase di Hind, “venite a prendermi”, non fosse sufficiente. Il film sa di cinema, e di quello linguisticamente pensato, soprattutto nel suo sovrapporre la voce degli attori, nel ruolo dei soccorritori, a quelle vere dei soccorritori veri, per creare una linea di separazione tra la finzione e la realtà: un po’ come quando, restaurando un monumento, si evidenzia lo scarto fra l’opera com’era, e quella che è divenuta. Insomma, La voce di Hind Rajab è un buon film, anche se per consolidare lo stato di verità avrebbe potuto evitare di scegliere, per il personaggio della soccorritrice, un viso un po’ troppo bello, e pure un po’ troppo truccato.

Ma veniamo alla questione etica, cioè alla necessità di servirsi di una tragedia vera per raccontare cìò che già conosciamo, e cioè un genocidio che non risparmia nessuno, a partire dai bambini. La domanda è fondamentalmente questa, appunto: quale il senso di riproporre a un pubblico che sa, quello dei cinefili e delle persone più acculturate, ma anche quello di tutti coloro che da due anni guardano i telegiornali, uno strazio tristemente noto? La riposta potrebbe risiedere nella speranza che toccare col cuore il dolore vero di una bambina vera, può farci capire meglio. Ma quali possono essere gli effetti pratici, su di noi che guardiamo il film comodamente seduti sulla poltroncina di un cinema, rispetto a questa tragedia che continua a ritrarci nel ruolo di semplici spettatori, talora anche voyeur? Alla fine ci sentiamo affranti, fors’anche più buoni, nell’aver solidarizzato emotivamente con questa aberrazione umana, ma non è di questo che hanno bisogno i palestinesi di Gaza, soprattutto quelli che non sono responsabili dell’attacco terroristico dell’8 ottobre. La domanda rimane aperta, ma almeno una cosa possiamo oggettivamente dire: premiare questo film, cioè premiare il nostro passivo sentirci da quella parte, stride con il martirio degli innocenti veri. Quantomeno, la pellicola avrebbe dovuto essere presentata fuori concorso, alla Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, perché la bontà di un prodotto cinematografico non può non fare i conti con la domanda della sua necessità, che per ora sembrerebbe essersi limitata a generare un successo, e un introito economico, che temiamo non sarà dirottato in direzione di chi ha bisogno di cibo, e di una pace che sembra impossibile. Forse, l’unico risultato certo è quello di avere puntato il dito sulle storture kafkiane della burocrazia che, anche di fronte al bisogno di salvare una bambina straziata, preferisce il rispetto delle regole, piuttosto del rischio di un (seppur folle) tentativo di martirio, per “andarla a prendere”.


di Francesco Maggiore e Marco Lombardi
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