Non volere volare

La recensione di Non volere volare, di Hafsteinn Gunnar Sigurosson, a cura di Mariella Cruciani.

Dalla proiezione di Non volere volare del regista e sceneggiatore islandese Hafsteinn Gunnar Sigurosson si esce come frastornati e incerti su cosa si è visto: un lavoro filosofico-esistenziale camuffato da film (quasi) d’azione o viceversa?

L’avvio della vicenda è semplice: come nel recente esordio di Margherita Buy, il tema di fondo è la fobia del volo. Per superarla, tre personaggi, molto diversi tra loro (Sarah, imprenditrice edile innamorata, Alfons, inventore di un’app e goffo fidanzato di una influencer ed Edward, scrittore e veterano di guerra), si affidano all’agenzia “Viaggiatori Impavidi” ma Charles (Simon Manyonda), la guida, si rivelerà più inesperta e impaurita di loro. Le cose si mettono male da subito: il volo di prova viene posticipato, in seguito c’è un malfunzionamento del motore, infine i quattro impavidi, per tacer dell’accompagnatore, resteranno bloccati in Islanda, prigionieri di una natura livida e inquietante…

Ovviamente, la paura del volo è solo una metafora della più generale incapacità di lasciare e lasciarsi andare: Sarah (Lydia Leonard) teme il confronto con l’ex moglie del compagno, Edward (Timothy Spall) è ancora in preda a paranoie legate alla guerra britannica delle Falkland, Alfons è succube della partner ma riuscirà, sorprendentemente, a liberarsi.

Il film decolla (è il caso di dirlo!) bene ma, nella seconda parte, si assiste ad una brusca virata con un accumulo inverosimile di scene frenetiche e gag che rischiano di spiazzare e stancare lo spettatore. Il giudizio complessivo è, comunque, positivo perché, quando Sigurosson non si lascia sopraffare dalla ricerca dello sketch a ogni costo e si sofferma, invece, sull’umanità fragile dei suoi anti-eroi, riesce a coinvolgere e divertire.

Un po’ di misura, e meno balletto grottesco, avrebbe giovato ma le istruzioni, semiserie, per volare e vivere restano!


di Mariella Cruciani
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