Il libro delle soluzioni

La recensione di Il libro delle soluzioni, di Michel Gondry, a cura di Gianlorenzo Franzì.

Nove opere, un capolavoro assoluto, un paio di film molto belli, diversi fuori fuoco: si potrebbe riassumere così la filmografia di Michel Gondry, che però nonostante questo non fa che risplendere e far risplendere (con) Il libro delle soluzioni.

Nonostante una carriera altalenante, Gondry gode di un amore incondizionato da parte di critica e pubblico, probabilmente per quella sorta di debito emotivo creato con un gioiello incredibilmente potente (Eternal Sunshine Of the Spotless Mind): allora il suo nono film, presentato a Cannes e alla Festa di Roma, assume il tono di un ritorno ai fasti del passato se non altro perché a 60 anni il suo regista rifiuta, com’è nelle sue corde, di riflettere con inutile e faziosa malinconia sul proprio percorso artistico, ma anzi rilancia e mette sulla bilancia tutto quello che a volte non ha funzionato, con una sfacciataggine da ammirare.

Quindi campo libero a smanie di grandezza, troppe idee e a volte non proprio centrate, e non ultima una bulimia narrativa che quasi mai è riuscita ad essere imbrigliata in uno sviluppo coerente e affascinante.

Il libro delle soluzioni in questo modo diventa una summa poetica: una sintesi sincera di una visione sempre e comunque sopra le righe, che fa della mancanza di confini la cifra stilistica.

L’ottica metacinematografica non fa che migliorare tutto, permettendo certe dinamiche narrative altrimenti inesatte: come si fa, allora, a non amare l’umile baldanzosità di un regista che dice “il fallimento è una sequenza di soluzioni intervallate da problemi. Il successo è una sequenza di problemi, intervallati da soluzioni” mentre alle spalle ha più flop che lungometraggi riusciti, e nonostante questo un credito inestinguibile?

D’altronde il film riflette anche su una questione molto moderna, ovvero la necessità di poter avere il controllo creativo nelle produzioni artistiche all’interno di modalità che fanno di tutto per negarlo: e lo fa con gioiosa consapevolezza, senza far diventare tutto una sterile lezione accademica, ma anzi sbrigliando la fantasia e abbattendo ogni tipo di limite.

In questo modo, lo sguardo di Gondry, il controllo sul suo nucleo artistico più incontrollabile, diventano oggi più che mai necessari e vitali, rinviano l’orizzonte degli eventi sempre un po’ più in là.


di Gianlorenzo Franzì
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