Augure – Ritorno alle origini

La recensione di Augure - Ritorno alle origini, di Baloji, a cura di Ignazio Senatore.

Koffie (Mar Zinga), di origini congolesi, vola in Belgio dove allaccia una relazione con Alice (Lucie Dabay), una bianca. I due si amano e la coppia è in dolce attesa di due gemelli. Koffie decide di presentarla ai familiari che vivono a Lubumbashi, un paesino della Repubblica del Congo, e porta con sé, come è nella tradizione, una dote. Al suo arrivo, la madre e gli altri parenti lo accolgono con freddezza. Koffie, infatti, è colpevole sia di convivere con una bianca, sia perché è ritornato in patria senza aver conseguito una laurea. Nel corso di un pranzo, dove si ritrova con tutta la famiglia, Koffie prende in braccio un neonato, ma un fiotto di sangue dal suo naso, cade sulla guancia del piccolo. I presenti lo accusano di avere il marchio del diavolo e, nel corso di una cerimonia, uno stregone officia un rito sacro per cacciare via da lui il demonio e liberare il piccolo dal suo malefico influsso.

Il regista Baloij Tshiani, all’esordio, punta il dito sugli atavici pregiudizi che regnano in quella regione dell’Africa, dove i genitori comandano a bacchetta i figli e dove sopravvivono riti ancestrali che non tengono il passo con i cambiamenti del tempo. Il regista lavora contro il razzismo che circola in quelle regioni, dove un nero non può frequentare e mettere su famiglia con una bianca, e contro una società tribale che crede ancora nella possibilità che un uomo possa essere uno zabolo, ovvero un posseduto dal demonio. Per tutto il film il protagonista, appare incredulo e smarrito di fronte a una cultura che sente ormai lontana da sé e che, in quindici anni, è rimasta ancorata a tradizioni immutabili. Augure – Ritorno alle origini è ricco di colori e le maschere e i costumi dei riti sacrali lasciano il segno.


di Ignazio Senatore
Condividi