Un beau soleil intérieur, un ritratto (tutto al femminile) di signora – Quinzaine des Réalisateurs 2017

Quest’anno la Quinzaine des Réalisateurs si è aperta alla grande: al film "Un beau soleil intérieur" di Claire Denis (rivelata nel 1988 da Chocolat) manca davvero poco per essere un capolavoro.

Da vari anni a Cannes, più che dal Concorso, le sorprese migliori arrivano dalle sezioni parallele. Nella vetrina della “Quinzaine des Réalisateurs” – una sorta di Concorso parallelo – il direttore Edouard Waintrop riesce a portare decine di opere di alto interesse, muovendosi in totale indipendenza dalle mode, dalle pressioni dei produttori e dei sempre più invadenti sponsor che rischiano di trasformare Cannes in una sfilata di modelle. Curiosamente è il cinema italiano – da due anni penalizzato dal Concorso – a trarne il maggior profitto: grazie al fiuto del dinamico Edouard anche quest’anno nella seconda vetrina cannense figuravano ben tre film italiani. «Io non ho nessun merito – si schernisce Waintrop – se non quello di seguire attentamente quello che accade nella penisola; cerco, e come vedete “trovo”.» L’anno scorso fu la volta di Virzì, di Salvo; in questa stagione a ricevere gli applausi del pubblico e dalla critica a Cannes è toccato a Leonardo di Costanzo (L’Intrusa), al debuttante Roberto de Paolis (Cuori puri), a Jonas Carpignano (A Ciambra, avvincente odissea di due fratelli rom che sopravvivono avventurosamente in una favela calabrese). Grazie alla “Quinzaine” questi tre film d’autore potranno così avere una carriera internazionale. “Libération” (di solito poco tenero verso il nostro cinema) scrive di Cuori puri: «Il film prova che il cinema italiano è sempre vivo, il regista debuttante  sembra reinventarsi un cinema sulla scia dei fratelli Dardenne e di Laurent Cantet.» Al (piccolo) capolavoro dell’italo-americano Carpignano (protetto da Scorsese), una sorta di moderno Olvidados, è andato meritatamente il Label di Europa Cinemas Network”, ma A Ciambra avrebbe meritato ampiamente di figurare nel Concorso. Al posto magari – diciamolo pure – di opere discutibili come quelle di Haneke, Loznitsa, Doillon, Ozon, Mandruczo, Lynne Ramsay (se ci fate caso, mi son permesso di citare negativamente quasi la metà dei film selezionati per la Compétition ufficiale; le cose non vanno davvero molto bene nel cinema mondiale). Ma torniamo alla “Quinzaine”.

Quest’anno la “Quinzaine des Réalisateurs” si è aperta alla grande: al film Un beau soleil intérieur di Claire Denis (rivelata nel 1988 da Chocolat) manca davvero poco per essere un capolavoro. Scritto da due donne (la regista ha voluto accanto a sé la nota romanziera Christine Angot), dotate anche di una discreta dose di comicità, Un bel sole interiore è un incantevole, emozionante, umanissimo “ritratto (tutto al femminile) di signora” come se ne vedono molto di rado; il trio Denis-Angot-Juliette Binoche fa davvero meraviglie. «Lei ha saputo raccontare l’emozionante ricerca interiore di una donna delusa dalla vita con la finezza, la sensibilità, la profondità di un Antonioni…» mi scappò detto all’appassionato pubblico incontro che seguì la proiezione. «Non potevo immaginare un complimento migliore – rispose emozionata l’autrice -, da sempre mi auguravo di poter fare un giorno una commedia; con la loro freschezza, spontaneità, sincerità, le mie due splendide collaboratrici mi hanno aiutato a trovare il tono giusto…» «Con questo film Claire Denis ha fatto un passo avanti straordinario – commentava felice Edouard Waintrop -; ci auguriamo che continui su questa strada a lei congeniale della “commedia drammatica” come la chiamava Truffaut.» (Strano che a nessun giornalista italiano venga mai in mente di fare una bella intervista al benemerito direttore della “Quinzaine”. Lunga vita ad Edouard Waintrop. Sapevo che è appassionatissimo di cose italiane, calcio e politica compresi, ma non immaginavo che nei tempi liberi stesse  preparando – pensate un po’ – un libro documentatissimo sulla misteriosa figura di Vittorio Vidali, l’assassino numero uno della famigerata “banda Stalin”, implicato tra l’altro  nell’assassinio di Trotski. Un soggetto ideale per Joseph Losey…)  Isabelle (Juliette Binoche), professione pittrice, cinquantenne divorziata, è alla disperata ricerca di un amore vero, che dia un senso alla sua vita. «Per le donne, come per gli uomini, l’attesa dell’amore è una speranza di tipo assoluto, la promessa di una felicità che però spesso confina con dei momenti di grande angoscia» commenta la regista.  «Isabelle non è una ninfomane, o una collezionista cinica: attraversa un periodo di incertezza. Più vicina a un Casanova femmina che a un Don Giovanni, è semplicemente assetata di assoluto. Vuol incontrare qualcuno con cui poter essere finalmente se stessa.» «Nel film – precisa la scrittrice Christine Angot – la protagonista attraversa tutti gli stati d’animo, tutti i sentimenti.

I cinque uomini che incontra successivamente hanno tutti qualcosa di unico, ma hanno anche dei riflessi di tipo sociale, e a volte si ha l’impressione di una autentica guerra sociale amorosa, in cui tutto conta…». Il mieloso banchiere sposato, per cominciare,  la considera solo come un’amante di passaggio a cui al più si portano dei fiori, ma non le telefona mai; per metterlo alla porta Isabelle deve usare le maniere forti. (Nel ruolo, Claire Denis ha scelto invece di un attore un amico regista, Xavier Beauvois; secondo lei «certi cineasti che conosco sono meglio di tanti attori di professione».) L’attore teatrale nevrotico (Nicolas Duvauchelle)   che subentra al banchiere senza cuore la usa solo  come una pedina con cui sfogare i suoi deliri interiori. Avvalendosi del fatto di aver conservato la chiave dell’appartamento, l’ex marito di Isabelle (Laurent Grevill) si presenta ogni tanto in casa vantando cinicamente delle pretese assurde. Quanto possono rivelarsi insensibili, volgari, certi uomini. «Rimani nella tua classe sociale» continua intanto ad esortarla un vecchio amico (irresistibile Bruno Podalydès, altro regista)…  Alla fine, la serie dei crudi disinganni spinge Isabelle a ricorrere ai consigli di un bizzarro, improbabile para-psicologo (il sedicente mago col pendolino è interpretato da Gérard Depardieu, che quando è ispirato fa meraviglie). Il lungo, delirante monologo evasivo del para-psicologo – tra il confessore e il ciarlatano – è un momento irresistibile di teatro dell’assurdo. («Lei ha tanto bisogno di autenticità.. Con il suo bello spirito di sintesi sa andare a fondo delle cose… Quel cinquantenne che la vuol solo sfruttare non lo lasci più tornare nella sua vita… Al tempo stesso però deve “rimanere open”… Vedrà che alla fine scoprirà “il suo bel sole interiore”…» “Stia open”: il modo inimitabile in cui Gérard Depardieu pronuncia questa raccomandazione melensa – continuando con una voce incantatrice a “passare la pomata” sulle ferite della paziente – scatena negli spettatori un’ilarità generale, olimpica. Questo finale da antologia è imbellito da una prestigiosa invenzione tecnica: i titoli di testa sfilano lentamente su una colonna laterale dello schermo, accanto  alle immagini conclusive del logorroico monologo di Depardieu alla sua paziente, combattuta tra scetticismo e rassegnazione…

In origine Il film si doveva intitolare Occhiali scuri; quel titolo non piaceva alle due autrici della sceneggiatura («non è vero – precisa Claire Denis – come si è vociferato che ci siamo ispirate al bel libro di Roland Barthes, Frammenti di un discorso sull’amore), e venne scelto molto opportunamente solo alla fine. Ingaggiato per l’ultima ampia sequenza (un monologo impegnativo di circa un quarto d’ora) Gérard Depardieu aveva pochissimo tempo da concedere a Claire Denis per via di un precedente impegno, tutto si dovette fare in poche ore;  procedendo a braccio com’è suo costume Depardieu si inventò molte battute, tra cui quella –  surreale – che servirà da titolo. Tra gli interpreti, tutti eccellenti, Juliette Binoche risplende come un “sole”. «Juliette – ricorda Claire Denis – si impose subito come l’interprete ideale nel ruolo di Isabelle. Ci voleva un corpo femminile “cremoso”, voluttuoso, desiderabile, una seduttrice depressa che è però una guerriera nata che non si rassegna alla sconfitta nelle battaglie amorose.» L’osmosi regista-interprete è stata così profonda che qui la “solare” Juliette  Binoche, approdando a una invidiabile maturità, supera ogni sua precedente interpretazione. Ispirata da due donne di classe – la regista e la sceneggiatrice – Juliette fa un po’ impallidire molti registi che l’hanno fin qui diretta, dal compianto Kiarostami al (sopravvalutato) Assayas. Per nostra fortuna il film avrà un distributore italiano.

In foto: Juliette Binoche in Un beau soleil intérieur, regia di Claire Denis.


di Aldo Tassone
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