Tre domande a Paolo e Vittorio Taviani

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tavianiPerché avete sentito la necessità di fare un film su questo argomento?

Paolo: dopo la lettura del libro La masseria delle allodole di Antonia Arslan, ci siamo resi conto di essere molto ignoranti, in proposito. Inoltre, parlare di questo genocidio era un modo per ricordare tragedie simili che sono avvenute, in tempi più recenti, in Ruanda, in Kosovo, in Serbia. Questo film ci dà la possibilità di occuparci della contemporaneità: gli orrori sono identici. Così, girando una storia accaduta nel 1915, avevamo la sensazione di fare un film , comunque, molto attuale.
Vittorio: non facciamo documentari, non ne saremmo neanche capaci! Non è un film contro i Turchi: prendiamo la figura del mendicante, all’inizio è quasi un traditore, ma, poi, diventa salvifico. E’ un film sugli armeni ! A noi interessano, i personaggi: per esempio, il soldato turco che si innamora di Nunik e, alla fine, si autodenuncia, ci ha commosso quando l’abbiamo pensato e scritto. Per noi, è molto importante amare i protagonisti delle nostre storie.

Il film è tratto, ancora una volta, da un libro…

Paolo: Antonia Arslan, nel suo libro, parla di una famiglia italiana. All’inizio, la parte italiana, in sceneggiatura, era molto più sviluppata: parlavamo di casa nostra. Questo fatto ci ha dato sicurezza e maggior fiducia in noi stessi, anche se, poi, alcune cose sono state tolte.

Un altro film su questo tema è stato Ararat di Atom Egoyan…

Paolo: Noi avevamo visto, a suo tempo, il film di Egoyan e abbiamo contattato l’attrice Arsinee Khanjian, che è armena, e che, nel nostro film, interpreta Armineh. Lei si è data anima e corpo al film, poi, quando l’ha visto finito, ha commentato: “la prima volta che vede il film, un’ attrice guarda sempre se stessa e ciò che ha fatto. Questa volta non è stato così: mi sono identificata in tutti i personaggi, ho visto il film da spettatrice! Quella donna lì non ero io, ma una di quelle donne..” Questo ci ha riempito di soddisfazione!


di Mariella Cruciani
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