I Transformers nel Paese dei Balocchi
Francesco Di Brigida rilegge l'intera saga dei Transformers.
Pinocchio e Lucignolo si lasciavano andare al mondo dei giochi nel Paese dei Balocchi. I giocattoli sono il punto di partenza anche per i Transformers cinematografici. Ma prima dovremo ricapitolare i film della saga. Si tratta di sette pellicole in live action tra il 2007 e il 2023. Le prime cinque dirette da Michael Bay, che possiamo considerare a pieno titolo come padre di questo racconto a estetica biomeccanica. L’unico spin-off è Bumblebee , anno 2018, su uno dei personaggi cardine del franchise, forse il miglior capitolo, ma il peggiore per l’incasso dopo il film più recente che porta invece il titolo urlante di Transformers – The Rise of the Beasts. Nelle sale di mezzo mondo il 27 maggio ha totalizzato 439 milioni di dollari globalmente incassati su circa 200 milioni di budget. Ma il tesoretto complessivo dell’intero franchise supera i 5 miliardi di dollari entrati al box office (a fronte di un investimento complessivo di 1,37 miliardi). Fanno 8 compreso il primo e unico film d’animazione del 1986. Che fu un immenso flop perché il protagonista capo dei buoni tirava le cuoia. Drammaturgicamente interessante ma impensabile per una ruota di marchendising tra giocattoli, serie animate e film che doveva autoalimentarsi per anni.
Facciamo un po’ d’ordine. Nel 1984 veniva prodotta per la tivù una serie di cartoni animati a supporto di nuovi giocattoli che promettevano scintille. L’americana Hasbro aveva precedentemente acquisito i diritti per sviluppare macchinine trasformabili in robottini da una grande company giapponese del settore commercializzando negli Stati Uniti questi robot rimodellabili. Erano i Transformers. Per il lancio in grande stile furono ingaggiati creativi della Marvel con il fine d’inventare un universo di personaggi e storie che potessero entrare nell’immaginario dei ragazzini.
Ciò che serve in un mercato è una storia, e Danny O’Neil, già autore di albi su Spider-Man, Lanterna Verde, Daredavil e Batman aveva scritto la storia dei Transformers insieme a Larry Hama, disegnatore per la Marvel dei primi fumetti G.I. Joe (altri celebri giocattoli Hasbro). Come spiegò il disegnatore Bob Budiansky al Guardian in un’intervista dell’epoca, il nome di ogni personaggio doveva portare riferimenti culturali legati agli anni ‘80. Così per esempio Megatron, il villain, presentava un’assonanza tutta reaganiana con il timore di un conflitto nucleare, vero spauracchio alla base della Guerra Fredda. Invece Ratchet, altro robot, omaggiava niente meno che l’infermiera Ratched interpretata da Louise Fletcher, premio Oscar come Migliore attrice in Qualcuno volò sul nido del cuculo di Miloš Forman.
Tutta la narrazione cinematografica intorno a questi robottoni si basa sulla guerra tra Autobots e Decepticons, opposte fazioni di alieni meccanici e ipertecnologici provenienti da un lontano pianeta ed esuli, guarda caso, sulla Terra. I primi pacifici e a difesa degli umani, i secondi con la brama di potere e distruzione del più debole. I protagonisti robot cambiano spesso a ogni capitolo tranne due dei buoni, Optimus Prime e Bumblebee (il tir rosso e il maggiolino giallo). Lunga è anche la staffetta al cast, ma mai nessun attore o personaggio in carne e ossa ha attraversato tutta la saga. Shia LaBeuf, John Turturro, Megan Fox, John Voight, Mark Walberg, Stanley Tucci ed Anthony Hopkins sono solo alcuni nomi di rilievo nei vari film. Ecco la prima prova che ci sussurra di un franchise focalizzato sui robot, dove gli umani, seppur protagonisti in toto, rivestono la funzionalità narrativa di un testimonial per la vendita di giocattoli. Balocchi appunto.
Come novità nel nuovo capitolo su grande schermo, il Rise of the Beasts di quest’anno, abbiamo a che fare con dei nuovi robot provenienti da un passato preistorico, animali meccanici concentrati a combattere Unicron, una smisurata astronave robotica mangia-pianeti. E qui ovviamente la Terra sarebbe l’invitante piatto del giorno. Tra i doppiatori che nella V.O. danno voce ai robot ci sono un’altra attrice da Oscar, Michelle Yeoh, l’ex-Hellboy Ron Pearlman e Colman Domingo, star della serie Fear The Walking Dead. Sul lato umano invece il nuovo film Paramount aspirerebbe all’inclusività con nuovi giovani personaggi di origini sudamericane, ma per la continuity introduce giusto i G.I. Joe come ipotetico futuro crossover tra giocattoli Hasbro. L’incasso, seppur doppio del budget è considerato un insuccesso. Per investimenti come questo, un buon risultato sarebbe stato un box office capace di triplicare il tesoretto iniziale. La ripetitività della saga, l’assenza di reali invenzioni stilistiche fuori dalle regie di Bay e quella velocità quasi insopportabile che mescola scie colorate di robot in combattimento e sceneggiature spesso fragili ne fanno un fenomeno prettamente commerciale. Un enorme gioco agli indiani e cowboys, o se preferite ai soldatini, che anche Wendy Ide, per rimanere al Guardian, ha definito come “la più stupida e rumorosa di tutte le serie di film da miliardi di dollari”. Insomma, Pinocchio e Lucignolo si sono svegliati con le orecchie d’asino tra balocchi che non bastano più a far quattrini, e neanche buon cinema.
di Francesco Di Brigida