Sul primato della critica e i critici inventati
Pubblichiamo l'editoriale di Franco Montini sul ruolo, il valore e la funzione della critica cinematografica.
In un recente e partecipato convegno, organizzato a Roma alla Casa del Cinema all’inizio dell’anno dal Gruppo romano del SNCCI, e successivamente nel corso dell’assemblea del nostro sindacato, svoltasi a Bari a marzo, si è molto discusso sul ruolo, il valore e la funzione della critica cinematografica. Come è noto, François Truffaut sosteneva con evidente spirito paradossale che tutti esercitano due mestieri: il proprio e quello di critico cinematografico. In effetti tutti gli spettatori, almeno una volta nella vita, si sono cimentati nel ruolo di critici. A chi, infatti, non è mai capitato, uscendo da una proiezione, di discutere con gli amici del film appena visto, svolgendo di fatto un’attività critica? Tuttavia la differenza fra uno spettatore che discute di cinema e il critico cinematografico consiste nelle competenze e nelle conoscenze che il secondo ha acquisito nel corso di un percorso professionale, che, per altro, può essere svolto nel modo più vario. Per diventare critico cinematografico non esiste un definito curriculum di studi: un critico può essersi formato attraverso un codificato percorso accademico, ma può essere anche un autodidatta cresciuto a pane e film.
I differenti percorsi formativi non mettono tuttavia in dubbio il valore e l’importanza di una riconosciuta professionalità. Invece l’impressione è che oggi tutti possano scrivere di cinema, ovvero svolgere il ruolo di critici. La cosa è abbastanza paradossale, perché mentre nessun direttore di giornale affiderebbe la critica di uno spettacolo di prosa o di un concerto di musica classica o meno ancora di un balletto e di un’opera lirica a un non esperto, la cosa avviene ormai abbastanza regolarmente con i film. Insomma, ciò che non è consentito per altre forme d’arte e di spettacolo, è consentito con il cinema. Recentemente fra i film segnalati come film della critica dal SNCCI è stato scelto anche Foxcatcher di Bennett Miller; ovviamente si può essere più meno d’accordo con la segnalazione, ma credo che difficilmente si possa mettere in dubbio il valore del film. Ebbene in una corrispondenza da Cannes, dove nel maggio scorso il film era in concorso e dove ha vinto il premio per la regia, l’inviato di un importante quotidiano italiano, recensendo Foxcather scriveva che “durante l’asfissiante film si percepisce soprattutto la scomodità dei poggiatesta e l’inutilità dei minuti che scorrono” e concludeva “ottimo per gli amanti del wrestling, sconsigliabile per gli altri”. Ovviamente tutte le opinioni hanno diritto di cittadinanza, nel giudizio dell’arte e dell’estetica non esiste un metro oggettivo, ma l’impressione è che il recensore in questione abbia capito poco del film, e in ogni caso, anche di fronte a un eventuale giudizio negativo, avrebbe comunque dovuto far presente il complesso e raffinato sottotesto del film stesso. Non lo ha fatto, forse proprio perché non è un critico.
Di fonte ad esempi di questo genere, che purtroppo si stanno moltiplicando, è conseguenza naturale uno svilimento della funzione critica. La mancanza di specializzazione è forse più causa che conseguenza della riduzione degli spazi sui quotidiani, che, proprio per la marginalità anche quantitativa, non permettono più un reale rapporto dialettico fra critici ed autori. Questo confronto, in passato serrato e, a volte, anche duro ed aspro, produceva effetti positivi, favorendo da un lato un approfondimento dell’esame critico e stimolando dall’altro un miglioramento qualitativo della produzione. Non a caso si dice, o meglio si diceva, che non esiste un grande cinema senza una grande critica. Del resto guardando al passato, appare evidente che molti dei movimenti cinematografici più interessanti e rivoluzionari proprio sul versante del linguaggio sono stati promossi da intensi e proficui rapporti fra autori e critici.
L’impressione è che questo processo di progressiva emarginazione della critica cinematografica sulla carta stampata sia stato in parte favorito anche da qualche responsabilità della categoria, troppo arrendevole nei confronti di certe richieste provenienti dalle direzioni dei giornali e troppo timida nell’esprimere giudizi, sia in positivo che in negativo. La tendenza – si parla sempre per generalizzazioni ed ovviamente singole eccezioni non mancano – sembra essere quella di non esporsi, di essere il più possibile soft. Rispetto al passato, sono sparite le stroncature, come se la severità (legittimata sempre da un minimo livello di analisi e approfondimento) significasse mancanza di rispetto, ma sono rarissime anche le recensioni entusiastiche, come se la critica tendesse a non prendere posizioni estreme.
Molto diversa è la realtà della critica sviluppatasi in rete, dove, esattamente al contrario di quanto accade sulla carta, le posizioni, nel bene e nel male, frutto di un’esplicita volontà provocatoria sono spesso esasperate ed esagerate. Ciò non significa che in rete manchino critici preparati, appassionati, molto informati, spesso anche più dei colleghi che operano sulla carta. Il problema è che in rete la presenza di poche testate giornalistiche di qualità e di singoli professionisti di autentico spessore si disperde nella miriade di pseudo giornali, blog, interventi improvvisati sui social network. Tutto ciò rischia di ostacolare la crescita professionale di chi merita, perché in rete è complicato farsi notare. Anche perché la rete non sembra ancora avere del tutto maturato un proprio specifico linguaggio: il modello della recensione che appare più spesso sui siti internet è di fatto identico a quello della recensione cartacea. Personalmente sono convinto che un mezzo che si esprime soprattutto con le immagini, come è appunto il caso della rete, dovrebbe utilizzare le immagini anche nell’esercizio della critica cinematografica. Gli esempi in questo senso mi sembrano ancora quantitativamente modesti.
di Franco Montini