Ricordando Zavattini
“In Italia la situazione potrebbe essere riassunta così: da una parte forti industriali che pensano e operano da vincitori e persistono a tradire il prossimo col motto: commuovere e ricostruire; dall’altra coloro che si considerano vinti anche se innocenti”.
Così si esprime Cesare Zavattini, di cui ricorre in questi giorni, il centenario della nascita (20/9/1902), in uno scritto intitolato Dopo il diluvio, che contiene le sue idee centrali sul cinema.
Nella stessa direzione, e in maniera più esplicita, va anche l’intervista dal significativo titolo I dolori di un giovane soggettista, rilasciata a Raffaele Masto per Cinema (I, 4, 25 agosto 1936, pp.152-153). Qui, lo scrittore e regista, che ha raccontato la vita con stupore e curiosità, afferma espressamente: “Se vuoi far del mestiere, vendi la tua idea, intasca i biglietti da mille e non occuparti dello scempio che faranno della tua creatura. Ma se non riesci ad uccidere il demone della poesia pura, impara a sceneggiare i tuoi soggetti. Poi impara a fare l’operatore ed il regista. Poi impara a fare l’attore. Allora, forse…”.
E, quattro anni dopo, ancora su Cinema ( I sogni migliori, V, 92, 25 aprile 1940, pp.252-253), conclude: “… la fantasia fermenta nei difetti: se l’ultimo cinema dal ’30 al ’40 è di rado sorprendente, dipende dalla sua crescente perfezione commerciale. Ahimè, arriveremo anche noi all’organizzazione americana”.
Zavattini, nell’articolo citato, non si limita, però, a lanciare un grido di dolore, ancora oggi attualissimo, contro il cinema inteso come mera industria, ma propone anche un efficace antidoto.
“I registi pensino ai ciechi se vogliono progredire. Essi costruiscono la vita con la memoria dell’infanzia: per questo non oserei raccontare ai ciechi il riassunto di un’opera, avvertirebbero subito il metodo, il mestiere, anche nei casi felici. … Essi solo permetterebbero e aiuterebbero la rivoluzione vera e propria: il film dell’uomo che dorme, il film dell’uomo che litiga, senza montaggio e oserei aggiungere senza soggetto…. Poter tornare all’uomo come all’essere, “tutto spettacolo”. E’ evidente già da queste poche citazione come Zavattini, con i suoi 15 anni di lavoro, 50 soggetti, di cui circa 20 realizzati, 25 sceneggiature e opere imprescindibili come Darò un milione, Quattro passi fra le nuvole, Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D., sia tutt’altro che superato e come il suo lavoro, teorico e pratico, costituisca ancora adesso motivo di interesse e di riflessione profonda per tutti coloro che amano, davvero, il cinema e la vita!
di Mariella Cruciani