Ricordando Pier Paolo – Incontro con Ninetto Davoli e Dacia Maraini
A conclusione delle iniziative in programma al Palazzo delle Esposizioni in occasione della mostra Pasolini Roma (fino al 20 luglio 2014), si è svolto il 5 giugno un incontro con Ninetto Davoli e Dacia Maraini che, tra aneddoti e ricordi, hanno tracciato il ritratto di un artista straordinario per la creatività e la passione ma, nello stesso tempo, di un uomo comune, con i suoi momenti di esaltazione ed entusiasmo ma anche di dubbio e di angoscia. Pier Paolo Pasolini uomo, prima che regista e scrittore o personaggio pubblico e analista instancabile dell’evoluzione della società italiana, è stato al centro del dialogo semiserio fra i due artisti che hanno condiviso con le persone presenti in sala le emozioni di viaggi, cene, chiacchierate, giochi vissuti in compagnia del multiforme intellettuale.
Davoli ha esordito raccontando di aver conosciuto Pasolini nel 1963, quando stava girando La ricotta, e di essere, così, entrato in contatto con i suoi amici, come Moravia e la Maraini, che suscitavano in lui molto imbarazzo. “Io ero ragazzino, venivo da una famiglia semplice: non capivo che dicevate, mi facevate paura. “ – ha ammesso, senza reticenze. E ha aggiunto, divertito, di aver chiesto, una volta, a Pasolini se, per caso, Alberto (Moravia) ce l’avesse con lui. Risposta ricevuta: “Forse lo intimidisci!”. Dacia Maraini ha replicato dicendo di aver sempre apprezzato la straordinaria vitalità, il candore, la capacità di stupirsi di Davoli e, per quanto riguarda i rapporti tra Pasolini e Moravia, ha affermato che, pur diversi (introverso il primo, più aperto il secondo), si volevano molto bene ed erano uniti dal sentimento dell’indignazione di fronte alle ingiustizie. Si è parlato, poi, dei viaggi in Africa, dei quali resta traccia negli Appunti per un’Orestiade africana (1970): Pasolini aveva progettato un film sui paesi del Terzo Mondo, film che non poté realizzare. Maraini ha spiegato che l’Africa costituiva la mèta preferita perché significava andare indietro nel tempo, ritornare a duemila anni fa, recuperare una sorta di integrità perduta e questo a Pasolini piaceva molto.
L’altro aspetto interessante dell’Africa era l’animismo, l’idea che tutto abbia un’anima e che tutto parli: quest’albero ha un’anima come quella luna ha un corpo cioè una concezione della natura completamente diversa dalla nostra. “Oggi – ha concluso – le cose sono cambiate anche lì: ora c’è l’Aids e il fanatismo religioso. Anche i rapporti sociali si sono inaspriti e sono state recuperate abitudini medioevali. Pier Paolo, che era molto sensibile al tema del cambiamento, avrebbe potuto scrivere pagine bellissime su questo!”. Davoli ha confermato che Pasolini era interessato e attento alle mutazioni sociali anche in Italia: “P. Paolo diceva che, una volta, affacciandosi alla finestra e osservando le persone, si intuiva la provenienza sociale, oggi, invece, sono tutti uguali…!”. Maraini ha domandato, quindi, a Davoli di parlare della sua esperienza di attore, soprattutto con Totò in Uccellacci e uccellini (1966). La risposta è stata netta: “Nei film di Pier Paolo io non ho mai recitato, ho sempre fatto me stesso, le parole sono quelle che uso nella vita…”. Ha, inoltre, detto che Totò era intimidito da Pasolini e che i due si sono dati del “lei” fino alla fine delle riprese: un po’ per il carattere del regista-scrittore che trattava sempre tutti con rispetto, un po’ per l’atteggiamento dell’attore che sentiva il peso di aver fatto, fino ad allora, soprattutto cinema commerciale.
Maraini ha ricordato un altro personaggio di eccezione, Maria Callas, che, conquistata da Pasolini, si è trasformata per lui, in Medea (1969), nell’emblema di un furore arcaico carico di emozioni in contrapposizione alla vuota razionalità moderna. Davoli è intervenuto, in proposito, con un episodio divertente: Pasolini gli aveva chiesto di fare compagnia alla Callas in un grande albergo, lui era andato ma non sapeva così dire, così, per vincere l’imbarazzo, le propone di fare un giro per le borgate, certo di una sua risposta negativa. La “Divina” non solo non si scompone, ma accetta entusiasta… Tra un ricordo e l’altro, si è giunti alla fine della serata con una precisazione importante: a qualcuno del pubblico che sottolineava come Pasolini facesse film per non stare da solo, Davoli ha controbattuto che la solitudine del poeta-regista veniva dalla sua storia familiare e che, in ogni caso, Pasolini aveva una grande voracità di vita. Anche Maraini si è detta d’accordo: “Non credo alle teorie che parlano di lui come di un uomo in cerca della fine: Pier Paolo era pieno di progetti, non pensava a morire. Amava la tensione del rischio ma questa è un’altra cosa…”
di Mariella Cruciani