Retrospettiva Marie Losier – Filmmaker Film Festival 2016
Surreale, fiabesca, magica, allucinata. Aggettivi ancora riduttivi per definire la complessità dell’artista francese a cui il festival milanese Filmmaker ha dedicato una retrospettiva omaggio.

«Forse un giorno farò la pasticcera, per ora lavoro con la pellicola».
Surreale, fiabesca, magica, allucinata. Aggettivi ancora riduttivi per definire la complessità dell’opera di Marie Loiser, la quarantacinquenne artista francese a cui il festival milanese Filmmaker ha dedicato una retrospettiva omaggio dal titolo Hello Happiness, presentando per la prima volta in Italia l’opera completa e ospitando una masterclass, durante la quale la cineasta ha parlato del suo lavoro e dell’intenso rapporto tra vita quotidiana, arte, relazioni umane, musica e cinema. Il programma proposto ha ripercorso l’intera carriera cinematografica in un unico corpo di opere (16 titoli, tra il 2002 e il 2015) che spaziano tra la narrativa, il performativo e il ritratto filmico.
Minuta e timidissima, Marie Losier è nata in Francia e si è trasferita a New York a diciannove anni, dove ha vissuto per ventidue anni, passando da un lavoro all’altro (tra gli altri, curatrice presso Istituto di Cultura Francese e programmer, al Toronto Film Festival ) e dove ha intrecciato relazioni di lunga amicizia con tanti personaggi della scena underground newyorkese, divenuti poi protagonisti dei suoi lavori e la sua famiglia del cinema, generosa e sempre pronta a dare’.
Estrosi e poetici, mai convenzionali, i film della Losier sono stati proiettati in musei, gallerie, biennali e festival internazionali, tra cui la Berlinale, Rotterdam Film Festival, Tate Modern, Palais de Tokyo, Centre George Pompidou e la Cinematheque Francaise. A coronare tutta una serie di riconoscimenti autorali, il Moma di New York nel dicembre 2017, le dedicherà una personale completa di tutte le sue opere.
Sebbene da sempre attratta dal cinema (‘vedo film da quando avevo 4 anni’), Marie Losier ha studiato Letteratura Americana all’Università di Nanterre in Francia e poi Belle Arti all’Hunter College di New York City. La formazione artistica, la pittura, la scultura e il collage, l’amore per la musica (‘il suono è la base del mio montaggio; archivio dei suoni e poichè il sonoro dei miei film non è quasi mai sincronizzato, a volte uso fino a 15 piste, per creare l’atmosfera che voglio io ’); la ferrea disciplina della danza che le ha insegnato come raggiungere gli obiettivi – e che ha connotato il suo essere sempre in movimento – prendono corpo nell’ossessione di un cinema artigianale, ‘fatto a mano’, realizzato dall’autrice a partire dai disegni, dalle scenografie e dai suoni montati e mescolati tra loro, su cui poi costruire le storie dei suoi personaggi.
La tecnica del cut up – del tagliare, cucire e ricucire stoffe, pellicole, brani musicali, pezzi di vita; costruire costumi fantasiosi ed eccentrici, scenografie dai colori sgargianti; e poi montare e smontare, ritoccare e infine dare forma definitiva, in montaggi dal ritmo straordinario e incalzante – è diventata la cifra stilistica, l’estetica del fare, dell’artista francese.
I desideri, le emozioni e le ossessioni più intime e sfrenate dei personaggi che mette in scena – che fanno da specchio alle sue personali (nei suoi primi film ritocca immagini e voci di attrici, protagoniste di film di grandi registi ed ‘entra’così a far parte della storia del cinema (La Passione de Jeanne d’Arc, Broken Blossoms e The Touch Retouches , dove veste i panni di Eliott Gould ) – sono restituite da un linguaggio personalissimo che taglia e ricompone pezzi di vita vissuta e fantasie filmiche, e ignora tutte le regole del fare cinema (la regista non ha mai frequentato una scuola di cinema), lasciando lo spettatore disorientato, ma incollato allo schermo in un ipnotico rapporto con le immagini che raccontano, in modo teatrale, burlesco e onirico (‘adoro Buster Keaton e la commedia musicale’), storie e vite vissute dai protagonisti che mettono in scena i loro corpi, giovani, vecchi, sfrontati, reinventati e modellati ad arte, con gioia (‘i corpi travestiti, sgraziati, goffi dei personaggi mi commuovono sempre’).
I film di Marie Losier costruiscono un mondo che ha demistificato i miti e le favole, e messo in scena in tableau vivant, la vita di creature off, pop/rockstar, drag queen, dominatrici e dominati, protagonisti gioiosi delle avanguardie artistiche, teatrali e musicali del novecento. Grazie alla libertà concessa dalle produzioni a basso costo, Losier è stata capace di attraversare con naturalezza i confini tra le discipline, le forme e i temi e confrontarsi con generi, soggetti e dispositivi molto vari, privilegiando comunque il ritratto filmico che ha realizzato di vari personaggi, figure fondamentali per la sua crescita professionale, tra cui Richard Foreman (The Ontolongical Cowboy, George Kuchar (Bird, Bath and Beyond’) , Tony Conrad (DreamMinimalist), artisti molto importanti per gli inizi della sua vita newyorkese; e poi Guy Maddin; il leggendario rocker Genesis P-Orridge, con cui realizzerà il suo primo lungometraggio; Alan Vega, lo sciamano elettronico, leader dei Suicide, e Felix Kubin, con cui sta lavorando per la sua ultima produzione.
La necessità di instaurare rapporti di amicizia profonda con i protagonisti dei suoi film e quella di esprimere un mondo interiore strabordante, prendono forma attraverso un cinema immaginifico di sfrenata fantasia, abitato da eccentrici e grotteschi personaggi reali fatto di eccessi cromatici, di sovrapposizioni sonore, spesso fuori synch, di una sovrabbondanza di oggetti scenici, (indimenticabile Oiseau de la nuit, film su commissione girato a Lisbona che mette in scena Fernando, eccentrica e affascinante drag queen performer che si esibisce nel club Finalmente), dove la gioia di vivere e il gioco, con un continuo rimando all’infanzia, sono raccontati con partecipazione emotiva e forte empatia (‘spesso sono stata travolta e ho dovuto proteggermi dalle loro emozioni e allora sono andata al cinema, a vedere una mostra, o fare altro e mi sono sentita libera e distante da loro, pronta a ricominciare’).
La partecipazione alla vita dei suoi personaggi – che Losier ha documentato con la macchina da presa, sempre presente, in uno stretto rapporto fisico con il suo corpo, (come se avesse bisogno di un dispositivo per andare oltre la sua timidezza ed entrare in rapporto diretto con ‘la sua famiglia cinematografica’), e la condivisione di moltissimi momenti di vita quotidiana e artistica, sono restituiti da numerosissimi quadretti girati negli anni (raccolti in archivi su vari personaggi), a cui seguono piccoli set su cui poi inserisce i personaggi, spesso ambientati in location di fortuna, come la cucina dell’artista costantemente animata da stravaganti amici, o nei terrazzi dei grattacieli newyorkesi (Flying Saucey, film di pura immaginazione sul cibo, il suo personalissimo spaghetti western; o Eat my make up, con un riferimento diretto allo slapstick e ai film muti in una progressiva regressione infantile), o in barche abbandonate sulla spiaggia di Long Island (Slap the Gondola, un musical caledoscopico dai colori sgargianti con muse, pesci, sirene e musica).
La sua incursione nel lungometraggio cinematografico, nel 2011, l’ha portata all’acclamato The Ballad of Genesis and Lady Jaye, distribuito in Francia, Canada, Mexico, Germania e negli Stati Uniti e vincitore di vari riconoscimenti internazionali (premiere alla Berlinale, Premio Caligary and Teddy Awards, primo premio all’Indielisboa, Prix Louis Marcorelles e Prix des Bibliotheques al Cinema du Reel). Il film è il ritratto del musicista avant garde Genesis Breyer P-Orridge (del Throbbing Gristle e Psychic TV) e della sua compagna Lady Jaye, ed è incentrato sulla profonda storia d’amore che ha unito i due personaggi, fino alla morte di Lady Jaye, per overdose. Con questo film Losier porta sullo schermo i due artisti che volevano, in virtù di un amore sconfinato, inglobarsi l’un l’altro, assorbirsi e fondersi in un unico corpo, attraverso un percorso di pandroginia, che ha portato i due protagonisti a vestirsi, truccarsi e acconciarsi allo stesso modo, fino a ricorrere alla chirurgia plastica per assomigliarsi sempre di più, nel tentativo di rimescolare le identità e restituirne una unica, come una terza persona, costituita da due metà di esseri umani.
Dopo anni di utilizzo della Bolex16m ‘- era tutto magico, e mi sembrava di ritornare ai primi del secolo con George Melies, anche se lavorare con questa macchina è stato molto faticoso, perché deve essere ricaricata ogni venticinque secondi e ha una bobina che dura solo tre minuti’ – l’artista, da quando si è trasferita in Europa si è avvicinata al video e dopo tanti anni di cinema manuale avrà una produzione e un budget a disposizione per completare in postproduzione i suoi film: il primo, per il quale ha ricevuto il prestigioso premio di Residenza DAAD a Berlino, per sviluppare un nuovo lungometraggio sul musicista e performer canadese Peaches, Peaches goes Bananas; e il secondo Cassandro, The Exotic, ritratto sul celebre lottatore messicano di wresling (‘il lottatore si muove più velocemente della mia macchina da presa, ed è stato necessario adattare lo stile al personaggio’), per i quali ha pensato di mescolare dispositivi diversi, Botex, Scopic, Video, scendendo a compromesso con le richieste dei personaggi.
Marie Loiser attualmente lavora anche su Felix Kubin, Falling Still, una nuova installazione, film e performance su Felix Kubin, compositore e musicista tedesco. ‘Sono molto emozionata – ci dice – lui è come Tony Conrad, ma più giovane; è un personaggio particolare e ho pensato di fargli dirigere un’orchestra di animali che, in alcuni casi, potrebbero anche cantare con lui. Ho già trovato un addestratore fuori Parigi che ha lavorato con gli animali per i film di Annaud e ho già cervi, leoni, tigri e gufi. E Felix ha già fatto la prima lezione con loro. Una vera follia!’.
La sarabanda creativa di Marie Losier continua alla costante ricerca di se stessa nell’interazione e nel gioco con gli altri, sempre con uno sguardo ironico, dissacratorio, burlesco ed emozionato.
In foto: The Ontological Cowboy – regia di Marie Loisier (2005).
di Patrizia Rappazzo