Per Jafar Panahi
La doppia condanna inflitta a Jafar Panahi dal regime iraniano, questa feroce teocrazia che è l’esatto contrario, oltre che di un sistema democratico, di una religiosità davvero sentita e vissuta anche nella dimensione pubblica, non stupisce molto, conoscendo appunto la natura e i metodi di questo regime, mentre colpisce moltissimo se si pensa alla sofferenza arrecata al regista e ai suoi familiari. E’ una condanna tanto ingiusta quanto violenta, con la quale i suoi artefici vogliono raggiungere un duplice scopo: mettere a tacere la voce di un artista e di un intellettuale non allineato e lanciare un’ennesima sfida all’opinione pubblica mondiale, per dimostrare, all’interno e all’esterno, un potere assoluto, peraltro capace solo di censurare e reprimere ogni qual volta si trova di fronte a un atto di critica o di dissenso. La condanna a sei anni di carcere e a venti anni di interdizione dalla creazione filmica costringe ora Panahi a subire una specie di morte civile, lasciandogli una sola, dolorosa possibilità: la futura speranza dell’esilio. A tutto questo occorre opporsi con fermezza e continuità: bisogna tener viva l’attenzione su quanto accaduto, denunciare senza sosta il regime iraniano, fargli sentire lo sdegno del mondo civile, imputarlo politicamente e moralmente per la sua costante violazione dei diritti umani. Soltanto così si può cercare di sostenere la causa di Panahi, e di quanti come lui sono in Iran vittime del fanatismo e dell’oppressione. Non sono solo il cinema e la cultura che devono mobilitarsi, ma sono il cinema e la cultura a dover sollevare per primi la protesta e a schierarsi a fianco di Panahi.
di Redazione