Mutazioni, errori, visioni – Il cinema di David Cronenberg
Da quando David Cronenberg ha cominciato a esplorare il cinema, e con esso la “bellezza interiore” (lo spazio buio e omogeneo in cui prendono corpo i pensieri, il punto d’origine di ogni visione), ha illuminato alcune delle mutazioni generate dal cinema stesso nell’uomo, una “libido scopica” che si è insinuata, come un demone, sotto la pelle della realtà apparente (Il demone sotto la pelle è il primo lungometraggio del regista canadese). Quella tensione che, di pari passo allo sviluppo tecnologico, ha finito con l’invischiare il soggetto in una ragnatela di rappresentazioni inestricabile e senza verità alcuna, i cui fili indicano altrettanti percorsi e intrecciano innumerevoli nodi insolubili, che legano il soggetto alle proprie visioni, ormai prive di referente oggettivo, rispondenti unicamente alla loro natura di significanti autonomi.
Tutto il cinema di Cronenberg fotografa, scruta, seziona, i significanti autonomi che, come mutazioni genetiche, abitano l’uomo da quando esiste il cinema. Neoplasie che si moltiplicano e si espandono fino a dare nuova forma alla realtà intera, mutandone l’aspetto e l’assetto a partire dall’incrinarsi del confine che separa(va) la realtà dalla rappresentazione.
Da Videodrome (1983) in poi, Cronenberg cerca di declinare in ogni diatesi (nell’accezione medica e linguistica) possibile lo stesso tema: la fusione di un piano oggettivo di realtà con un piano soggettivo, il progressivo sconfinamento dell’uno nell’altro. La mutazione organica (nel primo Cronenberg biomeccanica, ad opera di Rick Baker) è la visualizzazione di questa fusione. Ne è il residuo visibile, la conseguenza tangibile. La mutazione è, come l’immagine, creazione di una nuova forma. Non a caso ogni mutazione visibile finisce per plasmare l’inquadratura, fino a contaminare progressivamente la struttura narrativa, che via via, fino a Spider, si fa più densa, fino ad “ingrumarsi” definitivamente in una struttura a tela di ragno, fino a rappresentarsi autonomamente quale essa è.
La qualità maggiore di Videodrome, finisce così per coincidere con il suo maggiore difetto: la tessitura di un ordito complesso attorno ad una tautologia, il fluire narrativo che si cristallizza in una sintesi plastico-visiva, una sorta di neoplasia.
Più si allontana dal dettaglio neoplastico (La zona morta segna un passaggio importante in questo senso), più lo sguardo di Cronenberg si dilata, ed è l’immagine stessa a risultare contaminata. Differenti piani di realtà si fondono senza soluzione di continuità in una simultaneità spazio-temporale che anticipa le successive scelte estetiche del l’autore di Inseparabili (l’esempio più fulgido della definizione di questa poetica). L’incidente, l’errore umano, l’anomalia sono le costanti dell’opera di Cronenberg: spazi aperti al caso, all’errore di calcolo (La mosca), zone morte in cui nuove forme prendono corpo (M. Butterfly).
Ogni visione cronenberghiana sembra trarre origine da un embrione indistinto e oscuro, da una materia che soggiace alla forma. Ogni visualizzazione di corpi estranei, siano essi escrescenze o fori, applicazioni o protesi, è un atto estetico: il tentativo di dar forma all’informe, di dar corpo al pensiero, di chiarire l’oscuro. L’immagine si cristallizza in visioni nitide, illuminate da una luce clinica (di Peter Suschitzky). L’informe costituisce la sostanza stessa della rappresentazione, fino a contaminare il tempo del racconto, che nell’evolvere e chiarirsi in senso longitudinale, involve e si aggroviglia nuovamente verso l’informe. L’andamento “bustrofedico” dei plot di Il pasto nudo,Crash, eXistenZ e Spider, che non contribuisce a sciogliere alcun intreccio, è il sintomo più evidente di un anelito all’oscurità narrativa, in nome di una sempre più preponderante autonomia dell’immagine (sottolineata dal commento sonoro “statico” di Howard Shore).
Lungo la cinematografia cronenberghiana, l’immagine si conferma una sorta di veicolo d’infezione: in quanto proiezione chiarificata dei recessi bui della mente, corpo del pensiero e rappresentazione dell’informe, tende a contaminare, mutare e sostituire la percezione della realtà fenomenica.
Il cinema, secondo Cronenberg, è già mutazione. Da corpo estraneo del soggetto pensante, si è fatto nuova natura, insieme organica e meccanica. La tecnologia è stata assorbita, assimilata, naturalizzata dall’uomo e l’immagine cinematografica non è che l’espressione di un’osmosi naturale.
di Redazione