Le innovative partiture cinematografiche di George Antheil

L'artista americano è stato una delle presenze più bizzarre, poliedriche e interessanti della scena musicale e cinematografica statunitense nella prima metà del Novecento.

George Antheil, chi era costui? Il suo nome non è familiare nemmeno ai più accaniti collezionisti e appassionati di musica cinematografica. Eppure questa singolare figura di artista americano nato insieme al secolo scorso (Trenton, New Jersey, 1900 – New York, 1959) è una delle presenze più bizzarre, poliedriche e interessanti che abbiano attraversato la scena musicale e cinematografica statunitense nella prima metà del Novecento.

Compositore, pianista, scrittore di gialli, inventore, Antheil possedeva un ingegno in linea con la sua vastità di interessi e orizzonti, che si coniugava con una naturale e molto “europea” vocazione di sperimentatore e dissacratore, destinata a condurlo assai vicino agli ambienti delle avanguardie cubo-surrealiste di quel periodo. Si definiva “the bad boy of the music”, e con le sue composizioni ha fatto trasecolare il pubblico di due continenti, anticipando di molto gli esperimenti successivi della “musique concrète”, ma infischiandosene allegramente di etichette o recinti stilistici, con un notevole gusto per lo scandalo e la provocazione.

Autore di opere liriche e svariata musica sinfonica, scrittore di romanzi gialli, appassionato di medicina e fisica, ad Antheil si deve tra l’altro nel 1941, in piena guerra – ed in un singolare tandem con Hedy Lamarr, l’indimenticabile protagonista di Estasi (1932, Gustav Machaty) e Corrispondente X (1940, King Vidor) – il brevetto di un complesso sistema di modulazione, basato sulla banda perforata che si usa nella pianola meccanica, atto a intercettare e bloccare i segnali radio del nemico.

Ma senza dubbio l’attività di compositore cinematografico rappresentò, dagli anni ’30 in poi, una delle principali e più redditizie occupazioni di Antheil. E si deve a un’idea di Carlo Montanaro, infaticabile organizzatore, archivista, docente ed esperto di cinema, se ora se ne riscopre la figura a Venezia, dapprima con un incontro-concerto all’Ateneo Veneto il 26 febbraio prossimo alle 17, e poi con una rassegna alla Casa del Cinema “Pasinetti” nel corso della quale, dal 5 marzo, saranno proiettati i film più importanti del suo curriculum cinematografico: I filibustieri (Cecil B. De Mille, 1938), Stanotte sorgerà il sole (John Huston, 1949), I perseguitati (Edward Dmytryk, 1953), il leggendario Ballet mécanique (1924) di Fernard Léger e Dudley Murphy, archetipo di cinema cubista, il raro e sconvolgente Dementia (John Parker, 1955) e il film forse più celebre di tutti, Orgoglio e passione (Stanley Kramer, 1957), con Cary Grant, Frank Sinatra e Sophia Loren.

A parte l’episodio a sé stante del Ballet mécanique, che rappresenta il punto di sinergia più vistoso di Antheil con gli ambienti delle avanguardie figurative europee, va annotato come anche nella prassi compositiva per il cinema egli abbia svolto il ruolo – difficilissimo – di traghettatore delle istanze più evidenti e aggressive della “nuova musica” verso le rive conservatrici e diffidenti di Hollywood. Un ruolo che solo diversi anni dopo sarebbe stato ripreso da compositori come Leonard Rosenman, Jerry Goldsmith e in parte lo stesso John Williams.

Pur ottemperando agli impegni di “commento” e di drammaturgia musicale impostigli dagli studios, Antheil sfoggiava infatti un linguaggio estremamente inusuale, spigoloso, bellicoso, fatto di orchestrazioni secche, temi corti ma pungenti e ritmica sfrenata, con chiare influenze da Bartók e Prokof’ev. Il punto più incredibile e affascinante di questo capitolo rimane forse Dementia. Realizzato nel 1955 da un regista, John J.Parker III, di cui si ignora praticamente tutto, si tratta di un horror-noir di meno di un’ora ,in bianco e nero, completamente privo di dialogo ma non di sonoro, nel quale si pedinano le ossessioni psicotiche di una giovane donna, interpretata da Adrienne Barrett, durante una notte da incubo.

La sfida tecnica (56 minuti di musica senza interruzioni né interpolazioni col parlato) fu accolta entusiasticamente da Antheil con una partitura che da un lato riecheggia quasi beffardamente gli stereotipi dell’horror music (voce sopranile inquietante, tremoli e sussulti di archi ecc.), ma dall’altro ricrea autonomamente un’atmosfera onirica e visionaria, irrazionale, che deve non poco agli interessi che il compositore coltivava verso il surrealismo e l’espressionismo europei. La partitura, che fu diretta da un altro grande veterano della musica hollywoodiana, Ernest Gold (compositore di fiducia di Stanley Kramer oltre che autore dell’indimenticabile score per Exodus, 1960, Otto Preminger), ci si propone oggi come un esempio perfetto di quella speciale alchimia capace di realizzarsi tra un prodotto apparentemente “basso” e una sperimentazione linguistica “alta”. Era questo il connubio che interessava particolarmente a George Antheil nel suo lavorare per il cinema; e che gli ha consentito di rimanere, in questo àmbito, una figura dal profilo unico.


di Roberto Pugliese
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