L’Amico genovese

Gianni Amici

Gianni AmiciGianni Amico è stato negli anni Cinquanta e Sessanta un punto di riferimento molto importante per tutti coloro che a Genova si occupavano di cinema e più in generale di organizzazione culturale. Nei decenni seguenti è diventato uno dei cineasti più sensibili e rigorosi tra quanti – e sono numerosi – dalla Liguria si sono trasferiti nella Capitale e nel mondo per fare del cinema. Alla sua opera internazionale, e particolarmente a quella svolta in Brasile e guardando all’America Latina, il Gruppo Ligure Critici Cinematografici (S.N.C.C.I.) ha già dedicato lo scorso anno un’articolata serie d’iniziative organizzate in collaborazione con la Fondazione Casa America. La rassegna s’intitolava allora “L’Amico brasiliano”. Ora, grazie al Genova Film Festival (27 giugno – 3 luglio), che gli ha dedicato una sezione del proprio programma, comprendente un incontro su Le cinque stagioni con la partecipazione di Arnaldo Bagnasco, Fiorella Amico e Aldo Viganò, il discorso del Gruppo Ligure Critici Cinematografici sul cinema di Gianni Amico si arricchisce del capitolo dedicato a “L’Amico genovese”; cioè, al suo rapporto con la “sua” città e ai film che egli volle insistentemente ambientarvi: L’inchiesta, Le cinque stagioni, Lo specchio rovesciato.

Quando nella primavera del 1975 tornò a Genova per girarvi gli esterni di Le cinque stagioni, Gianni Amico aveva da poco oltrepassata la soglia dei quarant’anni e intorno a lui c’erano gli amici migliori della sua carriera romana – il genovese Arnaldo Bagnasco e lo spezzino Enzo Ungari, con i quali aveva scritta la sceneggiatura, Fiorella Giovannelli e Marco Melani nel ruolo di collaboratori artistici; mentre quasi ogni sera, dopo la giornata di riprese, c’era il rito della telefonata con Bernardo Bertolucci che, contemporaneamente, stava girando con ben altro budget Novecento e con il quale Gianni amava scherzare sull’uso di qualche soluzione tecnica particolarmente audace: “Ieri, Bernardo ha fatto una ripresa con un grandangolo da 10mm”, raccontò una sera con divertita ammirazione, nel corso di uno dei sempre più rari incontri che si concedeva con i compagni del suo genovese tempo passato.
Erano già trascorsi più di dieci anni da quando Gianni Amico aveva lasciato la “sua” Genova, prendendo improvvisamente il treno per Roma, quasi fosse il protagonista di un film di Federico Fellini (il regista che nella loro corrispondenza lo chiamava “fratellino”). Solo che Gianni era partito per la Capitale con moglie e figlia piccola, e alle spalle non lasciava gli amici di una provincia sonnacchiosa, ma una città ancora ricca di ambizioni e di fermenti, un lavoro fisso e le tracce ben visibili delle sua già intensa attività di organizzatore culturale: il cineforum genovese, il sempre adorato jazz, il Columbianum di padre Angelo Arpa, quattro Rassegne del Cinema Latinoamericano da lui ideate e dirette tra Santa Margherita e Sestri Levante. Temperamento inquieto e attraversato da forti tensioni etico-artistiche, Gianni Amico voleva fare del cinema, e questo era possibile solo a Roma. Fare del cinema! Non solo stimolarne la conoscenza, pur sempre da prospettive nuove. Fare quel cinema che aveva imparato a conoscere da giovanissimo, ad amare sotto lo stimolo dei “Cahiers du Cinéma”, a pensare operativamente al fianco di Rossellini ai tempi di Era notte a Roma (film di cui era stato produttore esecutivo per conto della genovese Golden Star, società nata sotto l’egida del Columbianum), a sperimentare con gli amici e una paillard a 16mm secondo i modelli narrativi e produttivi mediati dalle allora trionfanti “nouvelle vague”.

Gianni Amico aveva ufficialmente esordito dietro la cinepresa nel 1964 con un cortometraggio (We insist, programmato recentemente alla Stanza del jazz dal Gruppo Ligure) dedicato al jazzista Max Roach e composto di sole immagini fotografiche come l’amato La jetée di Chris Marker. Il tema era quello della libertà. E quel piccolo film già sintetizzava nel segno di un autentico amore per gli esseri umani le tre passioni fondamentali di Gianni: la musica, la politica, il cinema. Nello stesso anno, la sua scelta di dedicarsi interamente alla regia maturava nella fondamentale esperienza organizzativa (era stato lui ad avviarne la produzione), artistica (nel film figura come co-sceneggiatore, aiuto regista, brevemente anche come attore) e umana di Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci, la collaborazione con il quale prosegue anche con Partner e, soprattutto, con L’inchiesta, film con il quale Amico torna per la prima volta a Genova in veste di regista, girando una tormentata vicenda “gialla” tra il Ducale (allora utilizzato come Palazzo di Giustizia) e la sede storica del quotidiano “Il Lavoro”.

Era il 1971. Cinque anni dopo il regista Gianni Amico è nuovamente a Genova per gli esterni di quello che molti considerano la sua opera più esteticamente compiuta: Le cinque stagioni. Un film a lungo pensato e meticolosamente preparato, la cui lavorazione aveva dovuto più volte essere rinviata a causa delle difficoltà di casting derivanti dagli impegni professionali e dall’avanzata età di quasi tutti i suoi protagonisti. Proiettato solo in televisione, il film piace molto al pubblico e alla critica più avvertita. La vicenda, che si svolge tra una notte di Capodanno e la vigilia del Natale seguente, racconta la storia di un gruppo di vecchi dell’ospizio di Coronata decisi a partecipare al concorso per il migliore presepe della città. “L’idea di fondo del film – sintetizzava Gianni Amico – è di mostrare come dei vecchi che vivono solo in attesa della morte vanno via via ringiovanendo nel momento in cui riscoprono la dimensione della creatività, che nel caso specifico coincide con quella del lavoro”. Ne sortisce così un film corale, che (come sottolinea Morando Morandini) “diverte e commuove nello stesso tempo: divertente senza concessioni ai lazzi e alle astuzie della commedia all’italiana; commovente senza ricorso al sentimentalismo, almeno se si sa vedere che patetiche possono essere certe situazioni, non il modo con cui sono raccontate”; un film messo in scena da “un regista che ha il coraggio di essere semplice, ma, ai tempo stesso, rigoroso nelle sue scelte di linguaggio (l’uso costante del suono in presa diretta) e di stile, riuscendo ad amalgamare una così numerosa ed eterogenea compagnia di attori”. Certo, sottolinea subito Gianni, “mi sarebbe piaciuto girare tutto il film a Coronata, la cui posizione geaografica sarebbe stata ideale; ma purtroppo ciò non è stato possibile per ragioni economiche”. Genova appare esplicitamente negli esterni del film (la stazione Principe, qualche strada, Coronata, Pegli), ma gli interni sono stati girati a Roma in una palazzina semi abbandonata, circondata da alberi al di là dei quali solo la magia del cinema rende possibile immaginare la presenza di Genova.

Immaginare Genova, appunto. Nel cinema di Gianni Amico, Genova è sempre uno spazio sospeso tra la realtà e il sogno, e tale tornerà ad esserlo anche nelle tre puntate di Lo specchio rovesciato: viaggio tra il mito e la storia nel porto di Genova, dai Caravana ai camalli della Compagnia Unica, dagli uncini e i sacchi di juta al container; con la splendida sequenza conclusiva del vecchio portuale che si perde con sgomento nella metallica selva dei cassoni metallici che hanno ingoiato il suo lavoro, la sua identità, e che ora minacciosamente riposano in bell’ordine geometrico, silenziosamente accatastati sulla collina che domina la città.

Aldo Viganò

GiANNI AMICO
Nato a Loano (Savona) il 27 dicembre 1933 e morto a Roma il 2 novembre 1990. Figlio di un navigante, cresce a Cornigliano, la periferia industriale di Genova, frequenta senza passione l’istituto nautico e trova la sua prima via professionale come organizzatore culturale: cineforum, responsabile dell’ufficio mezzi audiovisivi del Columbianum, direttore tra il 1960 e il 1963 delle prime quattro edizioni della Rassegna del Cinema Latinoamericano. Nel 1964, debutta come regista cinematografico.

Filmografia

REGISTA
1964: WE INSIST! (16’)
1965: APPUNTI PER UN FILM SUL JAZZ (35’) – LE RABBIE DELL’ANIMA (film perduto) – UNA STORIA BANALE (15’)
1966: PAOLA (20’)
1967: GIOVANI BRASILIANI (48’)
1968: TROPICI (88’) – AH! VEM O SAMBA (film perduto)
1969: CINEMA DELLA REALTÀ (48’)
1970: LE GRANDI EPOCHE DEL TEATRO (9 puntate di 20’)
1971: L’INCHIESTA (92’)
1972: INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA (10 puntate di 20’)
1973: RITORNO (89’) – VITA IN GRAN BRETAGNA (16 puntate di 20’)
1974: CITTÀ E TERRITORIO: BOLOGNA (doc. in 4 pari) – MODA E SOCIETÀ (5 puntate di 20’)
1975: IL REGISTRATORE (34’) – SARDEGNA, UNA VOCE (60’)
1976: LE CINQUE STAGIONI (62’+60’+56’+54′).
1976: YOUR LOVE IS LIKE THE SEA (Per una generazione di americani, 48’)
1977: DEDICATO AI GENITORI (7 puntate)
1979: LE AFFINITÀ ELETTIVE (3 puntate di 62’+ 69’+ 67′)
1981: LO SPECCHIO ROVESCIATO – Un’esperienza di autogestione operaia (56’+55’+66′)
1981: LE MANI SVELTE (Giovani, donne, fabbrica – 67’)
1983: IO CON TE NON CI STO PIÙ (95’)
1985: DIARIO DI MANAROLA (Appunti per un film sull’esperienza di Telemaco Signorini alle Cinque Terre – 30’)
1986: MORANDI E ILSUO TEMPO (22’)
1987: AMICI (8’) – ANDREA DEL SARTO (37’) – MOSÉ BIANCHI E IL SUO TEMPO (37’)
1988: FUTURISMO & FUTURISMI (39’) – GRAMSCI L’HO VISTO COSI’ (59’)
1989: UN AMORE SCONOSCIUTO (86’)

SCENEGGIATORE
1964: PRIMA DELLA RIVOLUZIONE – regia: Bernardo Bertolucci; soggetto e sceneggiatura: Bernardo Bertolucci e Gianni Amico.
1968: PARTNER – regia: Bernardo Bertolucci; soggetto: Gianni Amico, da Il sosia di Dostoevskij; sceneggiatura: Gianni Amico, Bernardo Bertolucci.
1970: DER LEONE HAVE SEPT CABEÇAS (LEONE A SETTE TESTE) – regia: Glauber Rocha; soggetto e sceneggiatura: Glauber Rocha e Gianni Amico.
1983-1996: BAHIA DE TODOS OS SAMBAS – regia: Paulo Cezar Saraceni, Leon Hirszman; soggetto e ideazione della manifestazione:: Gianni Amico.

SOGGETTISTA
1974: HO INCONTRATO UN’OMBRA – regia: Daniele D’Anza, soggetto: Gianni Amico, Mimmo Rafele, Enzo Ungari.


di Redazione
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