Deserto particular: tutta colpa dell’amore in Brasile. Intervista all’attore Antonio Saboia
Antonio Maiorino intervista Antonio Saboia, il protagonista di Deserto particular.
È sembrata davvero una traversata nel deserto quella che, infine, ha portato Deserto particular di Aly Muritiba nell’oasi della sala italiana. Il film del regista brasiliano era stato già insignito del premio del pubblico alle Giornate degli Autori della Mostra di Venezia del 2021, ma ha conosciuto solo a gennaio 2014 la distribuzione nei cinema nostrani (grazie a Cineclub Internazionale). A volte ritornano. E come il refrain di una canzone, tre anni fa, e ancora oggi, sarebbe facile cedere alla tentazione di abbozzarne una recensione rubacchiando qualche verso a Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler, canzone che in due momenti cruciali fa capolino nel film. Quanto suonerebbe bene, infatti, raccontare la storia dei due protagonisti Daniel (Antonio Saboia) e Sara (Pedro Fasanaro) col verso Once upon a time, I was falling in love / Now I’m only falling apart. Lui, figlio d’arte o d’armi, di un padre ex militare ora da accudire, è stato sospeso dal servizio per l’aggressione a una recluta, in cui ha rimediato anche un gesso al braccio. Lei è all’altro capo del Brasile – Sobradinho, verso il nord, vicino Bahia – e all’altro capo del telefono.
I due, s’intuisce, si sono conosciuti online, scambiano messaggi (e foto affettuosamente osé), si saranno sussurrati parole d’amore lievi come una samba, promettendosi un incontro. Ma ora lei tace, e Daniel parte, elettrico e disperato, all’apice della crisi di entrambe, nell’eclissi totale del cuore: lui, per i problemi a lavoro; Sara, perché ha conosciuto il braccio violento – e ingessato – della legge di Daniel dai report di cronaca e teme che non sia l’uomo dolce conosciuto dai messaggi. Se si aggiunge che il Brasile è quello di Bolsonaro, spietato verso le minoranze, e Sara, in realtà, è Robson, un ragazzo che vuole cambiare sesso, si capisce quanto facile sia che il mondo cada a pezzi.
Anche se è un film brasiliano, il nord-est del Paese sembra semmai sprigionare la lirica di qualche ballad americana, se non di un road movie. Con la sua malinconia degli underdog, sa davvero di certa polvere dei deserti. Dimenticate le spiagge: Rio de Janeiro è un desiderio biascicato a fior di labbra, tanto per fuggire. La traversata di Daniel per raggiungere Sara passa dagli stradoni sabbiosi all’atmosfera notturna dei club, fino alla cidade operaia delle dighe e dei mercati ortofrutticoli, dove il corpo di Robson – un corpo on the road, che sta diventando femminile – fa bagni di sudore all’alba.
Ma se ci è concessa un’ultima giravolta per raccontare Deserto particular, non sarà il cantato un po’ mélo di Bonnie Tyler a condensare l’anima brasileira del racconto. Dovendo inclinare a una citazione musicale, dalla colonna sonora estrarremmo il pop romantico di Foi Tudo Culpa do Amor, nell’interpretazione del 1974 di Diana, ma qui intonato dal cantautore Odair José. Quando Daniel si scusa per l’ennesima volta, e Sara gli risponde che non basta scusarsi, quanto suona bene nel dolce portoghese brasiliano: “Chiedo scusa ancora una volta / so che ho complicato la tua vita / non ho colpa se hai pianto / e se non funziona / è tutta colpa dell’amore”.
D’amore, di Brasile, di cinema abbiamo parlato col protagonista Antonio Saboia già nel novembre del 2021, a poche settimane della vittoria a Venezia, in un’intervista rimasta inedita, che sa già di documento storico.
Il regista Aly Muritiba ha spiegato che hai lottato per avere questo ruolo, che ne avevi sentito parlare e ne avevi percepito immediatamente l’energia. Cosa ti aveva colpito di questo progetto cinematografico?
Tutto, credo. Il tema che portava con sé e il contesto politico della produzione. La sceneggiatura era sovversiva e umanista e ho sentito che la storia che portava con sé avesse bisogno di essere raccontata con urgenza. Mi ha commosso il viaggio del mio personaggio e il modo in cui un uomo così fortemente condizionato da un retroterra molto conservatore sia portato a decostruire alcune delle sue più forti convinzioni.
Il film inizia con Daniel che corre in una città vuota e silenziosa. Non sarà l’unica scena di solitudine di Deserto particular, che è davvero un film di spazi desertificati: camere spoglie, silenzi e assenze al telefono, strade desolate. Cosa significa per un attore interagire con un ambiente vuoto, da solo, senza altri personaggi?
Le scene silenziose e solitarie sono un lavoro difficile e complicato perché non ci sono battute e interazioni umane con cui potersi confrontare. Tutto deve essere interiorizzato ed espresso in modi più sottili dal corpo, come in una danza nel vuoto.
Ho osservato che il titolo Deserto particular appare solo 30 minuti dopo l’inizio del film. Secondo te, la storia di Daniel ha inizio davvero solo in quel momento o c’è già stata un’evoluzione del tuo personaggio nella prima mezz’ora?
Credo che il viaggio di Daniel nel mettere in discussione sé stesso e nell’evolversi cominci quando appare il titolo. Prima di allora, conosciamo la sua situazione, chi sia quel ragazzo, i suoi problemi, le sue lotte, la violenza che si porta sulle spalle ma anche l’umanità e il modo in cui si connette alla sua famiglia. È un ex agente di polizia sollevato dalle proprie mansioni per aver mandato in ospedale una giovane recluta. La Polizia Militare è stata creata per lavorare nelle strade in Brasile ed è sempre stata un’istituzione molto conservatrice e violenta, per cui era importante dare umanità al personaggio e a un certo punto dare spazio alla sua evoluzione personale a un certo punto.
A proposito di famiglia, Daniel non ha mai un vero dialogo con il padre, la qual cosa diventa ancora più eloquente quando cerca, nel deserto, di parlargli al telefono, ma non riesce a dire nulla. Nella costruzione del personaggio, come descriveresti il rapporto tra Daniel e il “lato maschile” della sua famiglia?
Ho dovuto innanzitutto capire da dove provenisse la sua violenza. È cresciuto senza una madre o una forte presenza femminile, con un’educazione molto rigida da parte di un padre poliziotto e di un nonno militare. Devono essere stati anni di un condizionamento molto sessista, cui ha contribuito la natura stessa del lavoro della polizia militare, così importante per la formazione della propria personalità. Di conseguenza, tutto il machismo e l’omofobia che manifesta sono strutturali, in quanto acquisiti attraverso l’educazione e l’influenza socio-professionale. Non credo che sia davvero convinto di tutto ciò; una certa distanza critica gli dà spazio sufficiente per decostruire le sue convinzioni a un certo punto. Ma non c’è dubbio che inizi con una concezione maschilista molto conservatrice rispetto a ciò che la mascolinità dovrebbe essere. Questo è anche uno dei motivi problematici per cui attraversa il paese per cercare Sara: è il tipo di uomo che non accetta un “no” come risposta.
Nella sua ricerca di Sara, Daniel si imbatte in Fernando, un amico della ragazza andato in avanscoperta. Nel loro dialogo sulla barca, l’uomo gli dice che, secondo Sara, lui è dolce ma anche pericoloso. Ti sei sentito, in effetti, di dover rappresentare entrambi i lati del carattere di Daniel? Come hai fatto a coniugarli?
Penso che siamo fatti di molti strati di personalità in evoluzione, a volte contraddittori. Un’ostentazione vistosa di mascolinità potrebbe in realtà nascondere una profonda fragilità emotiva. Il film si sofferma su quella corazza protettiva di Daniel, sull’uomo e sulla sua armatura psicologica, sul modo in cui se ne libera per fare esperienza di qualcosa di totalmente nuovo per lui.
Quando Daniel scopre l’identità sessuale di Sara, la sua reazione sembra rabbiosa, ma Sara gli dice che si stava prendendo in giro da solo perché in fondo ne era sempre stato a conoscenza. Come ha interpretato questa scena? Come un “Daniel scioccato” o un “Daniel che finge con sé stesso di essere scioccato”?
In quel momento, francamente, sembra che Daniel si stia prendendo gioco di sé stesso. Dentro di sé, una parte di lui deve averlo saputo benissimo sin dal primo incontro nel night club. Il fatto è che per mesi ha avuto a che fare con il lato femminile di Sara e dunque ha coltivato la fantasia di una donna ideale. È stato accecato da molte cose: dalla passione, dal dolore, dalla sua educazione. Così, quando la incontra dal vivo, semplicemente non vuole riconoscere ciò che allo spettatore è ovvio sin dal primo momento. Non permette a sé stesso di pensare a questa possibilità. Lui “vuole” che Sara sia una donna, perché è l’unica scelta giusta per un uomo come lui. Pertanto, la sua sorpresa in auto (è nei preliminari di un amplesso che Daniel si accorge del sesso di Sara, n.d.R.), è genuina, ma allo stesso tempo costruita dal suo condizionamento sessista.
Nelle scene più fisiche di Deserto particular, come quella dell’incontro con Sara in discoteca, è stato più utile abbandonarsi all’istinto dell’attore o trovare la sintonia con Pedro Fasanaro attraverso diverse prove di scena?
Un po’ tutte e due le cose. Abbiamo costruito l’inizio virtuale della relazione tra i nostri personaggi attraverso prove bendate in cui simulavamo telefonate per ore senza mai vederci. Avevamo solo le nostre voci e le storie che condividevamo per costruire un bagaglio di ricordi e creare spazio per sentimenti e desideri. Questo ci ha sicuramente preparato per la scena in discoteca, ma poi sul set abbiamo anche lasciato che il nostro intuito facesse il resto del lavoro.
“Chi sei?”, “Cosa vuoi?”. Sono domande chiave per i personaggi di ogni film, ma in Deserto particular sono domanda specifiche che Daniel riceve davvero. Ritieni che, a differenza all’inizio di questa storia, alla fine Daniel sia capace di rispondervi?
Daniel accetta ciò che ha appena vissuto, ma non credo che comprenda appieno ciò che gli sta accadendo, né la portata degli eventi e cosa rappresentino per lui. Credo che la fine del film sia solo l’inizio di un lungo viaggio personale per mettere in discussione molte cose che pensava di sapre su sé stesso. Lo lasciamo all’alba di una nuova comprensione di sé.
Il regista Aly Muritiba ha affermato che il suo obiettivo era quello di girare un film di incontri in un periodo difficile. Lo cito testualmente: “dopo l’elezione di Jair Bolsonaro, tutte le minoranze, donne, indigeni, comunità LGBTQIA+, neri, ecc, tra gli altri, hanno iniziato a essere sistematicamente perseguitati, e il Paese si è diviso tra il sud conservatore e il nord e il nord-est progressisti”. Come protagonista di Deserto particular, hai condiviso questa visione, sottilmente politica, o ti sei limitato a concentrarti sulla narrazione e sui suoi avvincenti sviluppi, senza alcun riferimento alla situazione attuale del Brasile?
Non nascondo che ciò che mi ha attratto in questo progetto è stato anche ciò che rappresentava nel contesto che stiamo vivendo in Brasile. Sentivo che la sceneggiatura era positivamente sovversiva e necessaria. Quindi sì, sono sempre stato d’accordo con Aly Muritiba sull’obiettivo che ci eravamo prefissati. Daniel rappresenta sicuramente l’elettore tipo di Bolsonaro ed è questo che rende la sua evoluzione così interessante e stimolante. Detto questo, una volta che ci si immerge nell’universo del personaggio e in quelle che sono le sue lotte e le motivazioni, non c’è spazio per il giudizio politico. La sua umanità deve prevalere in modo che possiamo trovare speranza alla fine del suo viaggio. Penso che Deserto particular parli di speranza per l’evoluzione. E Dio sa quanto ne abbiamo bisogno in Brasile in questo momento.
di Antonio Maiorino