Incontro con Ermanno Olmi
“Le religioni non hanno mai salvato il mondo” – dice il film ma ad essere inchiodati, poi, sono i libri. C’è, dunque, un’equivalenza tra cultura e religione?
Non c’è contrasto tra le due cose. A volte è più religione una cultura alla quale ci sottomettiamo che una religione vera e propria : c’è una religione dell’economia, una religione del possesso, ci metto anche quella del portare con la forza la cultura e la liberazione dall’arretratezza. Sempre sotto il segno della disciplina alle regole che è stata causa delle più grandi tragedie dell’umanità. C’è una grande differenza tra disciplina ed educazione: la disciplina è il rispetto delle regole che noi sottoscriviamo, l’educazione è il rispetto, non delle regole, ma degli uomini. Nessuna religione mi imporrà mai di non rispettare l’uomo!
Il film è durissimo con la Chiesa, con il Monsignore che, per i libri, dimentica gli uomini…
Infatti il Professorino gli dice: lei ha amato i libri più degli uomini. Qualsiasi forma di Chiesa che considera più importante il dogma degli uomini, non mi piace! La religione può essere un suggerimento per regolare le nostre idee, ma guai se è un’imposizione… L’unica vera rivoluzione è stata quella cristiana che ha introdotto l’idea di perdono, non il cattolicesimo.
Com’è, allora, questo Cristo sul Po’?
Ogni qualvolta, oggi, un uomo si comporta secondo modalità di relazioni umane che somigliano a quelle dell’uomo Cristo, è, in un certo senso, lui stesso Cristo. Quando aderiamo ad una proposta di vita che ha come modello Cristo, siamo noi Cristo: non c’è bisogno di andare in Croce! Cristo, per primo, dice no all’ “occhio per occhio, dente per dente”: la vera vittoria è il perdono. Questa è stata la grande, profonda intuizione di Cristo. E’ sui giornali l’intervista ai due bambini figli di una madre kamikaze palestinese; io mi ricordo che, quando ero bambino, c’erano coloro che invocavano il martirio per fede: in verità, Cristo stesso si è ribellato a questo. Io sono convinto che Cristo sia vissuto gioiosamente e sono anche convinto che, quando si sta insieme gioiosamente, anche l’acqua diventa vino
Nel film si dice anche che, il giorno del giudizio, sarà Dio a dare conto delle sofferenze del mondo…
E’ quel Dio che noi abbiamo utilizzato che dovrà rendere conto: quel Dio che andiamo a cercare quando vogliamo l’autorizzazione per i nostri misfatti, quando lo utilizziamo come maschera dell’umanità. Le situazioni attuali parlano chiaro! Il Dio “vero”, invece, parla quando noi stiamo zitti: nella vita ci sono momenti estremi in cui ciascun uomo sente che ha bisogno di aiuto. E’ il Dio che ci interroga, non che ci comanda! Un esempio: quando siamo innamorati e abbiamo una sorta di venerazione per l’altro, lo invochiamo continuamente e, se non siamo leali, la nostra coscienza ci interroga. Per me, la sincerità è uno degli atti di coraggio più sublimi che un uomo possa compiere. Alla mia età, certe domande non sono più rinviabili : i momenti estremi impongono interrogativi anche ai bambini: pensiamo ad Anna Frank e al suo Diario…
Crede davvero, come dice Jaspers, citato nel film, che la follia sia il viatico per la salvezza?
Jaspers dice: persino la spiritualità è diventata fonte di profitto, forse serve un atto di follia. Questa follia, però, non è la bomba dell’eversivo! San Francesco è stato un folle ma la sua follia è stata vestirsi di povertà e povertà vuol dire libertà. Tutto ciò che per noi costituisce una schiavitù richiede, per liberarsene, un gesto di follia. Prendiamo il problema dell’obesità infantile in un mondo in cui si idolatra la merendina: proibiamo le merendine o, quantomeno, diamo al consumatore informazioni necessarie per compiere una scelta.
Centochiodi è un potente richiamo alla vita semplice e ai rapporti umani sinceri…
Credo che una dignitosa povertà sia una grande scuola di vita: la semplicità è la necessità di distinguere, ogni giorno, l’essenziale dal superfluo. Wilde diceva: viviamo in una società in cui il superfluo è diventato una necessità. La semplicità del mondo rurale mi ha insegnato tante cose: nessuno invoca il ritorno al passato ma la capacità di vivere frugalmente è una cosa buona. Come consumare, oggi, meno acqua, meno energia? Quella povertà era scuola di vita: oggi dovremmo andare a scuola di povertà dai contadini dell’Ottocento per compiere atti “ecologici”. Nessuno è contro l’avere delle possibilità in più ma se questo provoca danni, allora, non va più bene! Quella povertà ingenua un po’ “sempliciona”, per me, è ancora un valore.
“Non ti scordar di me” – dice la canzone del film. Anche la memoria è un valore?
Qualsiasi amore vissuto rimane memoria: tra gli amori finiti, ci sono quelli che non finiranno mai. Per quanto riguarda i libri, alcuni vanno dimenticati, non per i libri in sé, ma per come noi li abbiamo utilizzati. La cultura accademica è arrogante: “Devi pensarla così!”. La vera cultura, invece, è la libertà di modificare la cultura stessa, di re-interpretarla ogni volta: altrimenti è disciplina, e non educazione.
Il film andrà al Festival di Cannes?
Ho sempre avuto produttori che mi hanno lasciato libero: io lascio ai produttori la libertà di presentare i film dove vogliono. Personalmente, non vado più volentieri ai Festival.
Perché proprio adesso ha sentito la necessità di fare un film così? Per la guerra? Per le catastrofi ecologiche? Perché è, come ha dichiarato, il suo film di congedo dal cinema “narrativo”?
In questo film c’è un sentimento di congedo: mi congedo allegramente, con lietezza. Nel congedo, ci si chiede cosa si vorrebbe portare con sé: io ho scelto un compagno, non dico come Cristo, ma qualcuno che un poco gli somiglia.
Perché, ha deciso di dedicarsi, da adesso in poi, solo al cinema documentario?
Non è facile spiegarlo. Lasciatemi invocare un esempio altissimo: Tolstoj, ad un certo punto, ha cessato di scrivere romanzi. Ha scritto saggi, libri di lettura per bambini, ma non ha più fatto narrativa. Anch’io non ho più interesse per la narrazione: è una scelta libera, davvero libera. Non è una questione economica, pur avendo la consapevolezza che è anche questo: se avessi dei soldi dal Ministero, senza essere in grado di darli indietro, mi vergognerei. Ma non è questo! Voglio andare da uomo comune tra gli uomini comuni. Nel mondo degli eletti non c’è semplicità: dove c’è più povertà, c’è più libertà. Voglio andare in cerca di quel sentimento della realtà, della strada: il documentario deve restituire il sentimento. Sto lavorando a due documentari: uno sui contadini ritrovatisi a Torino per proporsi come protagonisti di una società futura, l’altro sulla conversione del territorio di Sesto san Giovanni secondo il progetto di Renzo Piano. Ho anche un altro progetto: voglio fare un documentario in cerca della gioia. Vorrei intitolarlo: “Chi vuol esser lieto sia!”. A tutti auguro, di cuore, questo!
di Mariella Cruciani