Incontro con Claudio Giovannesi, autore di Alì ha gli occhi azzurri

Claudio Giovannesi, regista di Alì ha gli occhi azzurri, Premio Speciale della Giuria  al settimo Festival Internazionale del Film di Roma, è stato ospite, insieme al direttore della kermesse capitolina Marco Muller, di una delle serate organizzate dal Tuscia Film Fest per festeggiare la riapertura, a Viterbo, di una sala cinematografica storica: quella del cinema Genio. L’evento si è svolto sabato 24 novembre 2012: dopo una breve introduzione di Mauro Morucci, direttore del TFF, ha preso la parola Muller che si è detto molto felice di vedere in sala, non un solo pubblico, ma tanti diversi gruppi di spettatori. Ha, poi, aggiunto che è importante che ciò che viene presentato a Roma rimbalzi anche fuori e ha spiegato che il lavoro vero comincia dopo il Festival. A proposito del film in programma, ha notato che poche pellicole, come Alì ha gli occhi azzurri, ci fanno davvero fare i conti con chi siamo e come siamo diventati. E’ intervenuto, subito dopo, il regista, il quale ha dichiarato: “Avevo un fortissimo desiderio di raccontare l’adolescenza per capire l’Italia del futuro. I protagonisti del film, Nader e Stefano, hanno sedici anni: l’età del cambiamento. Ho voluto raccontare l’età del cambiamento in un’Italia che cambia. Ho incontrato i ragazzi del film, li ho conosciuti e dal rapporto con loro è nato il mio lungometraggio…”.

Dopo la proiezione del film, il dibattito in sala è stato condotto da Massimo Galimberti, responsabile della sezione “Prospettive Italia” del Festival di Roma. Per cominciare, Galimberti ha chiesto al regista di parlare del legame esistente tra Alì ha gli occhi azzurri e il suo precedente lavoro, il documentario Fratelli d’Italia. Giovannesi ha risposto di essere stato attratto dalla storia di Nader, adolescente di origine egiziana, perché sembrava una sorta di “Romeo e Giulietta” in chiave etnica, una storia, in parte, classica, in parte, sorprendente perché ambientata in Italia e nel 2012. Dopo la realizzazione del documentario al quale aveva partecipato, Nader è realmente fuggito di casa per tre mesi e da qui è nata l’idea del film. Per raggiungere il massimo di autenticità, Giovannesi ha chiesto alla fidanzata vera e ai parenti veri di Nader di interpretare se stessi nel film: il confine tra la realtà e la finzione è, dunque, molto labile. Obiettivo primario del regista è stato far dimenticare la finzione: per questo non è stato usato il ciak o non sono stati fatti segni per terra, per lasciare tutti più liberi. Giovannesi ha, inoltre, specificato che i personaggi del film sono tutti  reali, ad eccezione della sorella di Nader perché la famiglia non l’ha permesso.

Il nucleo centrale della pellicola risiede proprio in questo delicato punto: nella dicotomia tra ciò che il protagonista può fare (innamorarsi di una ragazza italiana) e che, invece, non è permesso a Laura, sua sorella (accettare le attenzioni di Stefano, amico di Nader). Il film finisce, non a caso, quando Nader scopre di essere scisso, quando prende coscienza della propria “doppiezza”. Il giovane di origine egiziana è, infatti, cresciuto nella non-cultura della società dei consumi, che non ha nulla a che fare con le sue radici: “è facile dire integrazione – ha commentato il regista – ma c’è, comunque, uno scontro.” E ha aggiunto: “Io ho osservato tutto questo come un entomologo ma ho anche visto e riconosciuto, in questi ragazzi, l’innocenza dell’età”. Sollecitato dalla domanda di una ragazza in sala, Giovannesi ha raccontato anche come alla prima del film, durante il Festival di Roma, la madre e la fidanzata di Nader siano state costrette ad incontrarsi e a salutarsi, anche se poi ognuna è andata per conto proprio.

Per quanto concerne le riprese, il regista ha raccontato di aver usato due macchine a spalla come se fossero due personaggi che sbirciavano e di aver eliminato, con grande soddisfazione del produttore, tutto il superfluo. Anche per il montaggio, si è osservata un’unica e semplice regola: sono stati vietati i tagli per non far sentire la regia, per scomparire o, almeno, apparire il meno possibile. Infine, commentando la scena conclusiva del film (la tavola apparecchiata della famiglia di Nader e il suo posto vuoto), Giovannesi ha osservato: “Tutto il film è visto con gli occhi di Nader, il finale è l’unica inquadratura guardata da noi!”.


di Mariella Cruciani
Condividi