In attesa della (buona) politica

Considerata sotto il profilo economico, l’attuale situazione del cinema italiano fa temere che nel prossimo futuro possano verificarsi ulteriori peggioramenti. Nel formulare questa affermazione, mi baso sui dati statistici disponibili alla fine di febbraio, che a mio avviso legittimano un’interpretazione pessimistica, un pronostico negativo. Già il confronto tra il 2011 e il 2010, anno, quest’ultimo, in cui l’economia cinematografica nazionale fece registrare risultati soddisfacenti, spingendo però non pochi esponenti dell’industria filmica, i quali scambiarono alcuni aspetti congiunturali per stabilizzazioni strutturali, a valutazioni infondatamente ottimistiche, già questo confronto, dicevo, evidenzia che quegli esiti favorevoli, troppo frettolosamente esaltati, avrebbero potuto rivelarsi alla fin fine come le classiche tre rondini che non fanno primavera. E infatti, prendendo in rapido esame i dati statistici (fonte Agis-Cinetel, quindi rilevati su circa il 90% dei locali cinematografici) relativi ai due precedenti anni e al primo bimestre di quello corrente, si può riscontrare un andamento che va, o quanto meno sembra andare, in direzione del peggio. Ma lasciamo parlare le cifre, qui tutte arrotondate.

Nel 2010, nelle nostre sale cinematografiche gli spettatori furono 120 milioni con un incasso complessivo (nei locali censiti da Cinetel) di 735 milioni di euro; nel 2011, gli spettatori sono scesi a 111 milioni, con un incasso complessivo (ancora con riferimento a Cinetel) di 662 milioni: nello scorso anno, dunque, il consumo cinematografico è calato di oltre l’8%. In compenso, nello stesso periodo, è migliorata la quota di mercato interno occupata dai film nazionali, passando dal 29% del 2010 al 38% del 2011, ponendo così rimedio, ma solo per il comparto della produzione filmica nazionale, alla diminuzione del totale degli incassi. Del tutto negativo, invece, risulta l’andamento economico della nostra cinematografia nel primi due mesi del 2012 rispetto all’analogo periodo del 2011: a gennaio 31% in meno dei biglietti venduti al botteghino e a febbraio un altro calo del 19%: nell’insieme una perdita notevole, cui si accompagna una marcata flessione della competitività dei prodotti nazionali, la cui quota di mercato si è fermata al 31% nel primo bimestre 2012 rispetto al 51% registrato nell’analogo periodo dell’anno precedente. Questi dati appaiono ancor più preoccupanti se si tiene presente che l’attuale tendenza, contemporaneamente svantaggiosa e per gli esercenti e per i produttori, aveva già cominciato a manifestarsi nel mese di dicembre, riguardando dunque l’intero trimestre invernale, in cui da sempre si determina una massiccia concentrazione delle frequenze cinematografiche. I dati negativi appena segnalati trovano qualche spiegazione in fattori – appunto congiunturali: ad esempio, nell’attuale stagione non c’è stato sinora, e molto probabilmente non ci sarà, un film di eccezionale successo come era accaduto nel 2010 con l’hollywoodiano Avatar e nel 2011 con l’italiano Che bella giornata – del tutto interni al settore cinematografico, o in cause extracinematografiche, come la grave crisi economico-finanziaria che ha comportato una forte contrazione di (quasi) tutti i consumi.

Resta comunque il fatto che l’immediato futuro del cinema italiano si profila tutt’altro che roseo, come purtroppo confermano i dati statistici parziali concernenti il mese di marzo. Non solo: le sue debolezze economico-strutturali, che lo configurano come una cinematografia medio-piccola, specialmente se rapportata a certi periodi del suo passato oppure a cinematografie di paesi più o meno delle nostre stesse dimensioni territoriali e anagrafiche (per fare un altro esempio: un confronto economico con il cinema francese sarebbe per noi impietoso), finiscono per avere conseguenze dannose anche sul piano delle risultanze culturali e sociali, in quanto comportano maggiori difficoltà per la realizzazione e, ancor più, per la visibilità dei film d’autore, in particolare per quelli maggiormente connotati dalla ricerca e dalla sperimentazione “linguistica”. Le ragioni di tutto ciò sono molteplici, ma su una in particolare credo che sia opportuno insistere. La possiamo definire, in poche parole, come l’assenza di una politica cinematografica volta prioritariamente a favorire la produzione e la socializzazione di cultura filmica, cioè una politica cinematografica del tutto diversa da quella in atto da tempo, caratterizzata dai “tagli”, dalla maggiore disponibilità concessa alle richieste, più o meno particolaristiche, delle categorie imprenditoriali (si pensi al meccanismo dei “ristorni”) e dalla minore attenzione manifestata per le questioni, le istanze, socio-culturali, dal ridimensionamento del cinema pubblico le cui finalità statutarie sono, o dovrebbero essere, di natura socio-culturale, e soprattutto dal continuo rinvio di una riforma legislativa tanto necessaria quanto urgente. Una riforma, una legge di sistema, tesa a predisporre orientamenti e strumenti in grado di eliminare i persistenti mali del nostro cinema: la teledipendenza; le “strozzature” della distribuzione e del mercato conseguenti, principalmente, al persistere del duopolio cinetelevisivo; la scarsità, in Italia e all’estero, di incentivi e iniziative promozionali a favore delle opere artisticamente e culturalmente più meritevoli e del loro pubblico potenziale, e via elencando.

Tuttavia, nonostante i ritardi, il perenne stato di emergenza, le condizioni sfavorevoli ora richiamate, il cinema italiano ha saputo dare alcune opere segnate dalla creatività e dalla tensione espressiva, pur continuando la larga maggioranza della sua produzione a essere composta da film a cui si può tranquillamente riservare la famosa battuta di Flaiano: “non vedo l’ora di perderlo”. Nello scorso anno, oltre ai due film esteticamente più significativi diretti da autori affermati (Habemus Papam di Nanni Moretti e This must be the place di Paolo Sorrentino) e a diversi prodotti comunque dignitosi, ci sono state non poche opere prime assai convincenti e promettenti, a cominciare da Corpo celeste di Alice Rohrwacher. E quest’anno abbiamo già avuto il felice ritorno dei fratelli Taviani i quali, con il loro Cesare deve morire, Orso d’oro al festival di Berlino, hanno recato, tra l’altro, un contributo rilevante al recupero di “immagine” della nostra cinematografia, che all’estero, da ormai parecchi anni, riscuote una scarsa credibilità. In questo duplice senso – il valore artistico-culturale accompagnato da importanti riconoscimenti internazionali – molto possiamo attenderci anche dai film di Bernardo Bertolucci (Io e te) e di Matteo Garrone (Il grande fratello), che con ogni probabilità rappresenteranno l’Italia nella sezione competitiva del prossimo Festival di Cannes. Ai nomi degli autori sinora citati, che certamente sono tra i più rappresentativi del meglio della nostra cinematografia, possiamo aggiungere quello di Amelio, il cui Il primo uomo, tuttora inedito, aveva riscosso al Festival di Toronto dello scorso anno molti consensi critici e aveva vinto il premio Fipresci. Inoltre sono già pronti o in fase di lavorazione altri film di altri autori (penso in particolare a Marco Bellocchio, ma anche a  Daniele Vicari, Marco Tullio Giordana, Giorgio Diritti, per fermarmi ai primi che mi vengono in mente) che nell’anno corrente arricchiranno l’offerta del cinema di qualità. Nel 2012, insomma, il cinema italiano potrebbe fornire, malgrado tutto, non poche prove di vitalità artistica e di sostanza culturale, che si pongono in netto contrasto con gli indirizzi dominanti, ovvero, con la serialità, l’uniformità, la superficialità, il consumismo corrivo che caratterizzano la maggior parte dei film nazionali, proprio quelli che di regola, per le vigenti norme legislative, ottengono dallo Stato più sostegno e più soldi. Ecco un altro dei motivi per attendere, ma non passivamente, l’intervento, che per più di un verso potrebbe dimostrarsi risolutivo, della politica, o meglio, e finalmente, di una “buona politica”.


di Bruno Torri
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