Il cinepanettone e la responsabilità
Che Natale a Beverly Hills sia stato riconosciuto dall’apposita commissione ministeriale come un film di “interesse culturale nazionale” sulla base del progetto presentato dal produttore è, prima di tutto, un ennesimo segno dei tempi in cui ci tocca vivere; e cambia poco il fatto che la stessa commissione abbia rinviato a dopo la visione del film finito l’approvazione definitiva del provvedimento. Se non vivessimo in un periodo fortemente connotato dalla volgarità e dall’ignoranza, non sarebbe venuto in mente a nessuno, non dico di compiere, ma neppure di immaginare una scelta simile. Di fronte all’enormità del caso, possiamo anche divertirci ad attribuire a questo “riconoscimento” una serie di definizioni facilmente comprovabili: “sfregio alla cultura”, “apologia dell’insulsaggine”, “elogio del trash”, per fermarsi alle prime che possono venire in mente. Oggi, nell’Italia degli anni Duemila, è dunque possibile constatare, non solo e non tanto che al peggio non c’è mai fine, ma anche che il peggio è già accaduto, pure in campo cinematografico. Ma assieme a queste osservazioni che riguardano principalmente, ancor prima e ancor più della politica, il costume dominante, l’episodio autorizza, da un lato, la comprensibile tentazione di ignorarlo, proprio per non restare invischiati in una discussione di bassissimo livello, e, dall’altro lato, la necessità di prendere posizione e di utilizzare anche questa circostanza per toccare alcune questioni e per cercare di contrastare, appunto, la sempre più diffusa assuefazione al peggio.
Conviene allora fissare alcuni punti e, insieme, richiamare alcune responsabilità. Il ministro Bondi, per rispondere alle critiche avanzate da più parti, ha detto, sostanzialmente, che il cinepanettone 2009, sulla base di parametri oggettivi, ha ottenuto il suddetto riconoscimento per le sue caratteristiche spettacolari e che da ciò non deriva automaticamente anche l’ulteriore “riconoscimento” di “film d’essai” con i connessi vantaggi economici. Secondo altri le cose non stanno esattamente così: al di là degli aspetti nominalistici, se la commissione preposta, dopo aver visionato il film finito (ma perché ancora non lo ha fatto, dato che è ormai pronto da tempo?), conferma, come sinora è sempre avvenuto, la precedente valutazione, chiamiamola così, di primo grado, al film stesso viene mantenuto il “riconoscimento” (culturale o spettacolare che sia), con tutte le relative agevolazioni finanziarie. La precisazione del ministro, peraltro, anche prendendola completamente per buona, lascia in sospeso alcune questioni importanti. Intanto, per come è stata formulata, sembrerebbe che la commissione ministeriale non abbia fatto altro che applicare in maniera per così dire obbligata la legge vigente (il cosiddetto “reference system”), che evidentemente dovrebbe essere immediatamente modificata, stante il risultato a cui ha portato e il precedente che ha stabilito. Interpretando in altro modo la stessa legge, la commissione, invece, avrebbe potuto, anzi, avrebbe dovuto applicare anche i criteri discrezionali che le sono conferiti (altrimenti perché sarebbe stata nominata), e quindi prendersi la non difficile responsabilità di sostenere che Natale a Berverly Hills, non soltanto è affatto privo di valori culturali, ma anche di autentiche qualità spettacolari, trattandosi del solito prodotto filmico motivato unicamente dal consumismo più corrivo e centrato prevalentemente sulla trivialità più scontata, come tutti i precedenti cinepanettoni sfornati ormai da molti anni. Che prodotti siffatti abbiano un proprio numeroso pubblico è un mero dato quantitativo che non implica in alcun modo aspetti qualitativi, e che semmai ribadisce ancora una volta che un certo cinema come quello di cui stiamo parlando, non a caso somigliante per più versi a moltissima cattiva televisione, contribuisce in misura determinante alla corruzione del gusto e alla perpetuazione del ciclo produzione/consumo fondato principalmente sull’offerta di film scadenti destinati a un pubblico ineducato all’uso dell’intelligenza, del tutto privo di sensibilità estetica e appunto assecondato unicamente nei suoi gusti più deteriori. Senza dimenticare che per questa tipologia di film, che aspirano soltanto al successo commerciale e che ricorrono sistematicamente alla superficialità più volgare per fare maggiore presa sugli spettatori, è già prevista, per legge, una lauta ricompensa economica, quella costituita dai “ristorni” proporzionati agli incassi. Pertanto, l’assegnazione di altri vantaggi economici finisce anche per configurasi, data anche la limitatezza delle risorse pubbliche, come un danno per quei registi, quei produttori, quei distributori, quegli esercenti che vorrebbero realizzare e mostrare film corrispondenti a istanze artistiche e culturali, quindi prioritariamente meritevoli di attenzione e sostegno statale. Detto altrimenti, e con una sola battuta: il “riconoscimento” dato a Natale a Beverly Hills significa la cancellazione di ogni distinzione tra i diversi film e la voluta accettazione della tendenza al livellamento produttivo su un piano degradato, significa cioè l’esatto contrario di quello che una seria politica cinematografica dovrebbe perseguire. E’ soprattutto per questo motivo, oltre che per evitare al nostro cinema una figuraccia (anche internazionale), che la commissione chiamata a visionare il cinepanettone 2009 deve, questa volta, usare con senso di responsabilità i criteri discrezionali di cui dispone – e trarne l’unica conseguenza possibile e condivisibile.
di Bruno Torri