Il becco del Ministro
Le ultimo esternazioni (contenute nell’intervista pubblicata da “Panorama”) del Ministro per i Beni e le Attività Culturali Sandro Bondi, determinate dall’esito della nutrita partecipazione italiana alla recente Mostra di Venezia – esito che, stando alle cronache giornalistiche, sembrerebbe tutto riassumibile nel verdetto negativo della Giuria internazionale, lasciando così in secondo piano quello che davvero conta, cioè l’effettiva valenza artistica e culturale dei singoli film – hanno dato luogo, come al solito, a vivaci polemiche, soprattutto per la promessa-minaccia del Ministro stesso di mettere in futuro “il becco nella composizione della Giuria”. Personalmente le sue dichiarazioni non ci hanno sorpreso più di tanto, trovandole in linea con la sua concezione politica, con le sue procedure operative (“tagli”, proposte legislative punitive per la creatività artistica, ecc.), e anche con i suoi criteri di giudizio: quando parla del cinema e dei film italiani non si capisce mai bene se esprime un suo punto di vista personale (dettato dal suo gusto e dalle sue esperienze artistiche e intellettuali: non dimentichiamo che Bondi è anche un poeta), oppure quello (che sarebbe opportuno misurasse maggiormente) di titolare del Ministero che ha giurisdizione sul campo cinematografico, oppure quello del militante partitico. Certo Bondi potrebbe rispondere che in lui i tre punti di vista sono perfettamente fusi, e forse ha anche ragione; ma con questa affermazione dimostrerebbe di confondere e mettere in contraddizione ruolo istituzionale, preferenze soggettive, militanza partitica. Per fare un solo esempio: se, come ha ripetuto più volte lo stesso Bondi, bisogna evitare il dirigismo statale e il connesso rischio di clientelismo nelle questioni artistiche e culturali, come può pensare il Ministro della cultura di “mettere il becco” nella composizione della Giuria del maggiore festival cinematografico italiano senza attentare a un principio basilare, quello da tutti affermato, almeno a parole, dell’autonomia della cultura? E come evitare, considerando proprio le motivazioni che lo spingono a tale scelta, le conseguenti preoccupazioni dei rappresentati delle cinematografie straniere, i quali potrebbero trarne conseguenze e comportamenti che andrebbero sicuramente a danno della stessa Mostra di Venezia?
Tuttavia, anche se ormai non appaiono più sorprendenti, le ultime esternazioni di Bondi hanno comportato un (relativo) elemento di novità: i due articoli apparsi il 18 settembre sul “Il Foglio” (“I due Bondi”, non firmato ma attribuibile al direttore Giuliano Ferrara) e su “il Giornale” ( “Le ripicche tra Bondi e registi rovinano il cinema” di Maurizio Caverzan): due testate e due firme non certamente sospettabili di “comunismo” o di opposizione preconcetta. Ebbene questi due articoli esprimono diverse riserve e critiche argomentate sulle posizioni bondiane. E quello, anche assai divertente, di Ferrara, sembra implicare un convincimento che mi sento di condividere, cioè che il Bondi poeta sia meglio del Bondi ministro.
di Bruno Torri