Gian Maria Volonté o la metamorfosi dell’attore

Volonte

VolonteNon è vero che il grande attore italiano abbia incarnato coi suoi personaggi la coscienza civile e politica di un intero paese. Egli ne ha anche interpretato il lato più oscuro e schizofrenico. Ma la questione si pone nei termini di un continuo gioco di specchi tra la maschera dell’interprete e il personaggio ad essa sotteso. E ancora il sottile diaframma che si insinua tra quest’ultimo e il soggetto reale, sia esso il commissario paranoico (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto), l’operaio Massa (La classe operaia va in paradiso), il peone rivoluzionario (Quien sabe?), lo statista Moro (Todo modo), il funzionario statale (Il caso Mattei) o infine il giornalista “fascista” (Sbatti il mostro in prima pagina). Dunque la maschera di un attore come gioco di specularità autoreferenziale al limite del virtuosismo.

Si, perché l’attore Volonté costruisce sul proprio modello fisiognomico l’identità dei suoi personaggi trasformandoli in altrettanti alter ego. Il destino del grande attore sembra quello di incarnare continuamente se stesso attraverso l’altro da sé, ossia il fantasma di un tipo umano. Ma nel caso specifico dell’attore italiano l’uso del grottesco possiede la funzione di interpretazione, sia pure parziale, del reale, senza che questo, peraltro, venga scalfito nella propria superficie ed essenza.

Quest’ultima viene, non a caso, finalizzata nel mito di un volto, di una personalità d’eccezione, finanche di un bestiario umano, piuttosto che utilizzata per un più profondo discorso sull’uomo. Si direbbe una semplice metafora del cinema, ma come ben sappiamo, non di tutto il cinema, quello ad esempio, che non smette mai di interrogare la realtà cercando di svelarne i misteri.


di Redazione
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