Festival di Pesaro: cinema d’avanguardia francese contemporaneo
È in un afosissimo giorno di fine giugno 2003 che fanno il loro ingresso alla saletta video del Teatro Sperimentale di Pesaro due minute ragazze dallo sguardo pulito e dai modi semplici, di quelli la cui freschezza capita di incontrar di rado: sembrano piccole donne d’altri tempi, uscite fuori almeno al-meno dagli anni Settanta. La mora Sarah Darmon e la bionda Johanna Vaude hanno però modi deci-si, sia nel parlare delle loro opere (poi), che (prima) nel provvedere a renderle fruibili: rispettiva-mente, l’una al proiettore per le immagini, l’altra al lettore CD per la musica (a latere solo in alcuni corti). È così che, complice il soave ronzio della pellicola, in una condizionata stanzetta al centro di Pesaro, riescono a ricreare la magia dei vecchi cinematografi, magari parigini.
Ciò di cui si sostanzia la visione del pomeriggio è chiaro. Lo verrà illustrando man mano il coordina-tore dell’evento, Stefano Masi, per mezzo di suoi interventi introduttivi ai singoli pezzi e per mezzo di brevi botta-risposta con le due cortesi mademoiselles che raggiungono la postazione-tavolo nel leggero e allegro sciabattare dei loro infradito vacanzieri. In controtendenza rispetto a paesi come l’Italia, nella Francia di questi ultimi anni sta spopolando l’uso dei Super 8. Si tratta di un mercato comunque “di nicchia” – anche se, punzecchiata da Adriano Aprà, la Darmon afferma che sarà da vedere – ma ciò di cui si parla pare avere il valore di un “progetto” abbastanza struttura-to.
I lavori qui esibiti in apertura sono realizzazioni dei membri delle cosiddette “Brigades San Martì”, ossia di allievi/e del corso di Arti Plastiche tenuto all’Università Sorbona di Parigi da Stéphane Marti. E a vederli seguiti dalle opere dei maestri (soprattutto dal morboso Eros mutilé di Martì, ma anche da Balam di Gilles Touzeau), non si esagera poi molto sostenendo che gli studenti abbiano superato i docenti, almeno in quanto a brio, grazie a una movimentata autonomia espressiva lontana dai cliché delle sperimentazioni in Super 8 dei “padri” e dei “nonni”. Per esempio in Baby Doll 5 (Fran-cia 1999 – 19’), Sarah Darmon e il suo compagno Orlan Roy hanno sì voluto saggiare tutte le possi-bilità offerte dalle pellicole Kodak, ma hanno altresì toccato un tema di rilevanza politica come quello dei terroristi RAF – già caro ai più famosi Fassbinder e Von Trotta – con i toni colorati e i tratti spi-gliati di un montaggio da videoclip che non mancava certo di suoni diegetici e musiche empati-che.
Si deve però alla costanza dei più adulti (comunque al massimo sulla cinquantina), una vittoria commerciale di tutto rispetto. Pochi anni fa, infatti, la Kodak francese aveva preannunciato il ritiro dal mercato della pellicola Super 8. La levata di scudi propugnata da Martì (e altri) tramite Internet e posta elettronica ha invece fatto sì che questa decisione aziendale venisse abbandonata. E non solo: la Kodak ha addirittura arricchito la propria gamma di un vero e proprio “negativo” che va oggi ad affiancare il minacciato “invertibile” (positivo/negativo) oggetto di quelle petizioni e-mail.
È ancor di più un merito di questi “irriducibili” docenti, infine, il recupero delle dismesse apparecchia-ture del “grande cinema” e il loro esaustivo sfruttamento in laboratori indipendenti (a Parigi, i più famosi sono L’abominable e l’Etna) dove i ragazzi risparmiano 1/5 sul normale costo di svilup-po/montaggio e dove i tecnici insegnano loro, toccando con mano, truka e trucchi del mestiere.
di Sanzia Milesi