Due o tre cose a proposito di Festival – Editoriale
Troppi o troppo pochi? E’ la domanda che rimbalza con maggiore frequenza ogni volta che si discute di festival cinematografici. E’ accaduto anche di recente al convegno “Quale festival per il cinema?”, organizzato a Roma nel mese di novembre dal Sncci. La quantità di manifestazioni sparse su tutto il territorio nazionale è sicuramente corposa, al punto che è complicatissimo stabilirne con esattezza il numero. Alcuni festival vantano storie prestigiose e grande popolarità, sono appuntamenti frequentati anche dalla stampa internazionale; molte sono manifestazioni centrate sui generi, noir, commedia, documentari, cortometraggi; numerosissime sono le iniziative che semplicemente concentrano in un breve periodo un’offerta cinematografica in aree dove non esistono più strutture permanenti di proiezione.
Gran parte di queste manifestazioni sono sostenute dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, cui spesso si aggiungono interventi di Regioni ed Enti Locali. Nella maggior parte dei casi le risorse messe a disposizione della singola manifestazione da parte del Ministero sono minime, poco più di un’elemosina. La logica delle assegnazioni continua ad essere quella dei finanziamenti a pioggia, favoriti anche dalla tempistica delle decisioni. La commissione preposta si riunisce e stabilisce l’entità dei finanziamenti annuali quando molte delle attività si sono già svolte: di conseguenza, nella stragrande maggioranza dei casi, si finisce per ribadire quanto già decretato l’anno precedente, penalizzando le manifestazioni in progressiva crescita e, al contrario, premiando oltre misura quelle in declino. Il fenomeno si ripete da tempo e da qui nasce l’incongruità di molte assegnazioni.
In proposito il Sncci ribadisce il convincimento che il finanziamento ministeriale dovrebbe essere assegnato esclusivamente alle manifestazioni di interesse internazionale e nazionale, mentre le iniziative di interesse locale dovrebbero essere sostenute da Regioni, Comuni, Filmcommssion. Se si adottasse questo criterio, il Ministero avrebbe un numero minore di festival da dover sostenere e potrebbe assegnare ad ognuno risorse più cospicue.
Con tutto ciò, sia chiaro, non si intende affatto penalizzare le manifestazioni “minori”: il Sncci è assolutamente convinto della validità di queste iniziative, che di fatto hanno sostituito quel circuito alternativo di cineclub e cinecircoli in buona parte ridotto e ridimensionato. Ormai i piccoli festival generalisti sono spesso l’unico strumento per portare cinema e film di qualità in aree cinematograficamente depresse o desertificate. Non è un caso che, dove questo legame con il territorio è particolarmente forte, i piccoli festival godano di ottima salute. Sono manifestazioni, che, pure con risorse economiche ridotte, riescono a soddisfare le richieste e le esigenze locali e sono frequentate da un pubblico numeroso, appassionato, entusiasta.
I problemi riguardano piuttosto i grandi festival; “servono ancora i festival di cinema?” si domandava provocatoriamente la rivista “8 e 1/2” in un recente numero dedicato all’argomento, con evidente riferimento, non tanto alle numerose piccole manifestazioni, quanto agli appuntamenti di Venezia, Roma, Torino, etc. Il fatto è che ai cambiamenti verificatisi nel settore sia nelle modalità di consumo, sia nei rapporti fra i media, sia nel processo creativo, non abbia corrisposto un adeguato cambiamento dei festival, destinati di conseguenza ad essere comunità sempre più asfittiche. I dati ufficiali, per altro poco verificabili, non lo segnalano, ma chi frequenta i grandi festival ha spesso l’impressione che le presenze di pubblico, e di pubblico giovane in particolare, siano sempre più ridotte. Esattamente come sta erodendo le presenze in sala, la rete sta erodendo anche le presenze ai festival. Per cercare di tamponare questo fenomeno, molte manifestazioni hanno scelto la strada del gigantismo, ampliando progressivamente il numero delle proposte, ma la bulimia di titoli del programma spesso è controproducente perché nasconde, in una pletora di film a volte inevitabilmente modesti, le proposte realmente valide. Così i festival, che una volta erano misuratori della qualità e svolgevano una importante funzione promozionale a favore della conoscenza e del consumo del cinema d’autore, rischiano oggi di diventare semplicemente una vetrina dell’esistente.
I grandi festival, si parla per generalizzazioni e non mancano esempi contrari, sembrano sempre più dominati dalla logica dell’evento: concedono spazio e attenzioni a film che non ha alcun senso proporre in ambito festivaliero, nella convinzione che il glamour di una manifestazione dipenda esclusivamente dalle presenze sul red carpet. Al contrario, restiamo convinti che la teatralità e il prestigio di un festival non dipenda dal numero delle star ospitate, bensì dalla capacità di interagire con il proprio pubblico. Da qui la necessità ad aprirsi al nuovo e all’emergente, ampliando l’attività di scoperta e inserendo nel cartellone anche le serie-tv, le webseries e tutte le diversificate forme che oggi fanno parte dell’ampia galassia cinematografica. Ma tutto nella logica di un festival a misura d’uomo, dove sia possibile intercettare quanto proposto dal programma. E forse, in un mondo che viaggia sempre più velocemente, sarebbe perfino il caso di ripensare alla durata dei festival.
In questa logica, la contrapposizione fra festival d’arte e feste popolari, querelle che ha accompagnato la nascita della kermesse romana e l’ipotetica contrapposizione con la storica Mostra di Venezia non ha davvero proprio più senso. Pensare di organizzare da una parte un festival d’arte e dall’altra una kermesse mercato è pura illusione. Al di là delle formule, ogni festival deve trovare una propria precisa identità, ricordandosi che le manifestazioni che ambiscono ad avere una importanza internazionale non possono vivere senza un mercato, così come non ha più senso un mercato senza festival.
di Franco Montini