Clint Eastwood il santo, il mito
Di questi tempi il mettere in discussione un feticcio cinematografico può costare caro. Chiedersi, ad esempio, le ragioni che hanno spinto molti critici italiani ad abbracciare l’opera e la figura di Clint Eastwood, attore-regista, quasi come un atto di fede può dunque apparire un azzardo. Ma come si sa la critica è fatta di azzardi ….
Già alcuni anni fa si scriveva su testate insospettabili che Callaghan non era semplicemente il poliziotto violento e autoritario che tutti conosciamo dalle nostre frequentazioni adolescenziali, ma l’uomo giusto che uccide solo per una giusta causa. Della retorica degli “uomini giusti”, ammesso che il famoso personaggio lo sia, ne abbiamo avuto abbastanza con il culto fanatico dell’Ethan-Wayne che può vantare attualmente agguerriti proseliti dotati di formidabili strumenti critici con cui difendere e perpetuare il mito.
Ma guardiamo i suoi western: da Lo straniero senza nome a Il cavaliere pallido (Gli spietati, invece, costituisce, per fortuna, un’eccezione) emerge pur sempre e comunque lo stereotipo annunciato dell’individualista misogino e misantropo, giustiziere saggio e talvolta ironico, che ha origine nel western italico di Sergio Leone. Più che di classicità per le sue ultime opere come regista parlerei invece di conservatorismo (ossia di una perfetta aderenza ai codici stilistici Hollywoodiani come conferma anche l’ultimo film presentato a Venezia).
Il suo cinema, con l’eccezione di Bird, film felicemente ispirato in cui Clint, nel racconto biografico di un artista tragico quale fu Charles Parker, riesce a liberarsi di sé stesso, trovando la giusta forza e intelligenza del racconto, è un ripetersi di luoghi comuni sulla morale americana, sul paesaggio, sulla violenza che si perpetua dentro la civiltà urbana, alla quale egli contrappone, preferendola, il sano e “pulito” clima della provincia.
Clint attore gigioneggia anche quando è alle prese con una storia banale d’amore (I ponti di Madison County) offrendo al pubblico il suo io gigantesco, e dunque incontenibile, di moralista cui la modernità o forse anche la post-modernità sta stretta, in nome di una primitiva innocenza ingenua quanto anacronistica.
Essere tutti con lui significa, anche per coloro che ancora si dichiarano progressisti, essere per quell’America che di fatto non ci appartiene!
di Redazione